di Giuliana Gugliotti
“Si sono fatti devastare tacendo dalla camorra che ha interrato per anni rifiuti tossici, ora fanno le manifestazioni. Che popolo di merda”.
Questa mattina doveva essere incazzato, e anche parecchio, Mario Adinolfi, per dare così il buongiorno ai suoi follower su twitter. Ovviamente il gesto ha scatenato le consuete reazioni infuocate, perché, se c’è una cosa che gli italiani sono bravissimi a fare, è la polemica.
A Mario Adinolfi, gli abitanti della terra dei fuochi e non solo, gliene hanno dette di tutti i colori. Da “muori grassone” a “taci venduto” (il succo è questo).
Così Adinolfi, che oltre a essere un politico (dirigente Pd e candidato alle primarie per la segreteria nazionale del partito nel 2009) è anche un giornalista, con esperienza in Rai, si è probabilmente sentito in dovere di chiarire, ampliando ulteriormente il concetto concisamente espresso su twitter con una sorta di mini-editoriale pubblicato sulla sua pagina Facebook, che ha intitolato per l’appunto “Il popolo di merda”.
Qui Adinolfi non si è di certo risparmiato. Prendendosela nell’ordine con: i camorristi, i docenti universitari corrotti, i giocatori ai videopoker, i dipendenti statali, i radicali, i poliziotti stupratori, i politicanti, i vertici di Finmeccanica. Insomma, pare chiaro che per Adinolfi la merda si trova un po’ ovunque, non soltanto sotterrata in quel triangolo maledetto di Campania in-Felix, né tantomeno solo tra i suoi abitanti, che per anni hanno chiuso gli occhi e avallato lo sversamento di rifiuti tossici.
“Questa forma italica della democrazia rappresentativa, comunque e ovunque in crisi, ha prodotto lo specchio perfetto: la classe politica e dirigente somiglia in maniera impressionante alla propria popolazione. Una popolazione come quella italiana, lamentosa e complice, inconsapevole e profondamente ignorante, accattona e sostanzialmente vile, non può che riflettersi come in uno specchio perfetto in una classe dirigente analoga” scrive Adinolfi. E tra i suoi lettori c’è anche qualcuno che gli dà ragione.
“Ogni popolo ha il governo che si merita, sono perfettamente d’accordo con te” commenta un utente. Ma è solo una goccia nel mare. La maggior parte continua a fargli piovere addosso insulti, accusandolo in primis di connivenza (come giornalista avrebbe avuto il dovere di essere il primo a denunciare un sistema che dice marcio fino al midollo) e di essere in cerca di pubblicità.
Al di là però delle motivazioni che possano aver spinto il signor Adinolfi a lasciarsi andare a tali dichiarazioni al veleno, sferrando un colpo basso a un insieme di persone che forse solo adesso per la prima volta dopo 20 anni sta prendendo coscienza di sé come popolo, unito, dotato di un potere democraticamente conferitogli, al di là di tutte le circostanze aggravanti o attenuanti che potrebbero essere chiamate in causa per giudicare e condannare o assolvere quest’uomo per le sue esplosive (e offensive) opinioni, ciò che emerge dalle sue parole, spingendo fortemente per venire a galla, proprio come spingono i rifiuti tossici sepolti nella terra dei fuochi, è un richiamo alla resistenza e alla ribellione e alla lotta civile. Una provocazione lanciata a un intero popolo che forse tale non si è mai sentito: gli italiani tutti.
“A un popolo di merda puoi aumentare l’Iva in pochi mesi dal 20 al 22 per cento, portare la disoccupazione ai massimi storici, avere quella giovanile a oltre il 40 per cento, sforare il deficit, preparare una “manovrina” da altri 5 miliardi e puoi stare tranquillo che nessuno reagirà. Vi possono fare di tutto e lo faranno. Ve lo meritate. Ce n’est qu’un début” conclude Adinolfi.
E, in questo monito finale, “non è che l’inizio”, sembra quasi di leggere, oltre a una certa presunzione da veggente (io-so-già-come-andrà-a-finire) che si auto-esclude peraltro da una faccenda che invece riguarda di sicuro anche lui, anche una nota di amarezza, di fierezza rabbiosa di chi non vuole rassegnarsi a subire.
Forse ognuno di noi, come cittadino italiano, questa domanda nel proprio intimo, prima di insultare l’Adinolfi, avrebbe il dovere di farsela. Quello che sta accadendo ce lo meritiamo davvero?. E comportarsi poi di conseguenza alla risposta.
In questi giorni si è tanto parlato di marcia su Roma, secondo molti l’unico modo per fermare la strage in Campania e andare a chiedere conto dei morti direttamente alle autorità nazionali. Quale che sia la soluzione, per la terra dei fuochi e in generale per un paese che sta davvero andando a rotoli, l’importante è non lasciar cadere la lotta.
Non servono a niente quelle mobilitazioni mordi-e-fuggi che il giorno prima fanno tanto rumore e il giorno dopo sono già cadute nel dimenticatoio. Le battaglie si combattono con coraggio, ma soprattutto con pazienza e perseveranza. Non basta unirsi momentaneamente contro un nemico comune. La radice di questa unione va ricercata nel profondo della nostra storia, piantata nelle nostre coscienze civiche. È lì che bisogna farla attecchire, coltivarla, crescerla con premura. Affinché non venga sradicata alla prima pioggerella di individualismo lassista.
05 ottobre 2013