Maschilismo e sentenze giudiziarie

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Maria Novella De Luca con un suo articolo pubblicato su la Repubblica fa emergere tre esempi di sentenze che dimostrano di quanto nelle nostre aule giudiziarie resistono pregiudizi e stereotipi contro le donne: nel 2018, il Tribunale di Genova riconosce le attenuanti a un uomo che aveva massacrato la moglie, affermando che avrebbe agito “in reazione alle parole della donna che lo illudeva e disilludeva”; nel 2019, il Tribunale di Viterbo concede le attenuanti a due stupratori di Casapound. “Hanno agito unicamente sulla spinta di impulsi sessuali inconsapevoli del rilievo penale dell’atto della condotta”; nel 2017, il Tribunale di Torino assolve un uomo che massacrava la moglie perché “lei si difendeva dunque non era in stato di prostrazione fisica e morale” nonostante i nove referti del Pronto soccorso che attestavano botte e ferite.

Credo che sia senz’altro giunto il momento di tenere in maggiore conto che una certa mentalità patriarcale è ancora diffusa e coinvolge anche il modo di pensare di settori non marginali della Magistratura.
Infatti, non sempre si ricosce in sé stessi un pervicace habitat mentale che sottovaluta i percorsi della piena libertà femminile.
Questo dato di fatto è foriero di gravi conseguenze se si lavora e si opera in contesti cruciali, quali le aule dei tribunali, le scuole e i mass media.

Nella maggioranza dei casi viene meno la consapevolezza di poter diventare vettori di una subcultura retrograda ma ancora presente. Ecco perché emerge la necessità di riconoscerla e di prevenirla al fine di evitare che una serie di soggetti possano pagare più di altri gli effetti devastanti: le donne, le persone lgbt, le minoranze di ogni tipo.

Nel corso del tempo, la emanazione di leggi importanti che hanno reso più difficile la discriminazione di genere e finalizzate a sanzionare penalmente comportamenti violentemente sessisti ha solo scalfito ma non rinnovato nel profondo un modo di pensare arcaico.

In particolare, mi riferisco alla mentalità del possesso da parte del maschio in una relazione di coppia che annulla quella del rispetto, del convinto riconoscimento della libera scelta di un compagno da parte della donna. Una scelta che, in quanto libera, può modificarsi nel corso dell’ esistenza senza che essa debba essere velata da paure per eventuali conseguenze violente da parte di chicchessia o, nel migliore dei casi, considerata una grave “deviazione” dalla morale corrente.
Del resto, cantava De André: “chi non dà cattivi esempi, dà buoni consigli”.
È fortemente indicativo che più volte sia la Corte di Cassazione che quella Costituzionale hanno evidenziato la persistenza anche in ambito giudiziario di una cultura, o subcultura, che non riconosce pienamente il diritto all’ autodeterminazione femminile.

Il riconoscimento dei diritti passa necessariamente da una battaglia culturale che vada coraggiosamente a confutare pregiudizi e stereotipi, altrimenti i diritti non vivono nella quotidianità. Essi diventano solo formali asserzioni, quasi irrilevanti nelle relazioni tra le persone e, soprattutto, non determinanti nel raggiungimento di una vera parità.
Pur non disconoscendo, quindi, l’ importanza del miglioramento del quadro normativo in tale ambito, è chiara la necessità che si sviluppi una educazione ai diritti, alla parità, alla cultura del rispetto. Tutte cose che sono naturalmente opposte a una mentalità del possesso.
Ma la educazione di cui parlo deve partire fin dalla più tenera età e a questo scopo sono fondamentali le particolari funzioni svolte dalla scuola e dalla famiglia, se vogliamo avere uomini in grado di gestire correttamente le relazioni di coppia.

A proposito delle menzionate sentenze, queste dimostrano che il concetto di “gelosia” non è estraneo a una buona parte della cultura giuridica. Nonostante tutto quello che è stato detto e scritto, la “gelosia”
è vista almeno come forma di attenuante in ordine agli atti di violenza nei confronti delle donne e questo è una prova evidente che quello che viene opportunamente definita mentalità del possesso persiste, essendo la “gelosia” non adeguatamente gestita un tipico sentimento da parte di chi ritiene la propria compagna come qualcosa da possedere.
Infatti, da parte di tanti uomini, troppi, c’è una insufficiente, se non inesistente, capacità di gestire una situazione che vede gli stessi rifiutati. Sono appunto non educati a vivere fino in fondo un rapporto di coppia che prevede, quasi per definizione, un probabile termine.

Ecco perché non bisogna mai stancarsi di parlare di questi argomenti anche se a volte ci si scoraggia venendo a conoscenza dei numeri ancora troppo alti che abbiamo in Italia per quanto riguarda i femminicidi e altissimi per le violenze di varie specie perpetrate contro le donne. La Polizia di Stato ha reso noto che nel 2019 ci sono stati in Italia quasi 100 casi al giorno di violenze di genere.

Di fronte a questi dati allarmanti, soprattutto da parte di chi ha degli strumenti culturali, a partire da quelli giuridici, ci si aspetta una profonda messa in discussione delle modalità di interpretazione degli eventi criminali di cui si sta parlando.
Un passo importante estremamente significativo sta nel dare il giusto riconoscimento alle parole delle vittime della violenza in analogia a come si fa per altri tipi di reato, quali rapine, furti, etc.

Lo dico con un pò di ironia, ma solo un poco, quando incontriamo degli amici che sono genitori, chiediamogli, dopo esserci informati se i loro figli stanno bene in salute, se stanno imparando anche a vivere in modo sano le relazioni di genere.