Tatticamente, Maurizio Sarri ha avuto modo di farsi conoscere durante la stagione appena conclusasi. L’Empoli ha espresso il miglior calcio della serie A a detta di tutti. Ancora negli occhi la vittoria sullo stesso Napoli per 4-2, ma anche l’ingiusta eliminazione da parte della Roma in coppa Italia o la sconfitta non meritata allo Juventus Stadium. Tutti risultati e prestazioni che hanno messo il tecnico di origine napoletana sotto quella lente d’ingrandimento che lo ha portato a essere l’uomo scelto da Aurelio De Laurentiis per la fase del dopo-Benitez.
Ma se il tecnico è da elogiare, l’uomo non è da meno. Anzi. Maurizio Sarri è un personaggio che sembra fatto apposta per essere amato dai napoletani. Perchè è così come lo si vede. Come è sempre stato. A partire da quando decise di lasciare il suo posto in banca perché “la panchina del Sansovino era incompatibile col lavoro”. Scelte che, al giorno d’oggi, fanno tremare i polsi. E aprire il cuore. Quello che è stato sempre di un solo colore. L’azzurro. Lui, figlio di papà napoletano (“Sono nato a Napoli perché mio padre faceva il gruista, quando le gru si azionavano da sopra, per la ditta che costruì l’Italsider a Bagnoli”), non ha mai avuto dubbi su quale squadra tifare. “A Figline ero l’unico a tifare Napoli, tutti gli altri tenevano al Milan, all’Inter, alla Juve, alla Fiorentina. Mi sembrava naturale tifare per la squadra della città dov’ero nato“.
Già, il padre “Amerigo”. Presenza importantissima nel Maurizio di ieri e oggi. “Era un buon ciclista, un passista-scalatore che poteva dire la sua anche nelle volate di un gruppetto. Vinse parecchie corse nelle categorie minori, mi pare 37. Da professionista, con la Frejus, valutò che i guadagni non compensavano i sacrifici e smise attorno ai 25 anni. È del ’28, a vedere l’Empoli è venuto una volta sola ma sulla bici da corsa ci va ancora spesso. Mi ha insegnato ad amare tutti gli sport”. Con il calcio su tutti. E di questi, l’idolo da ragazzino poteva essere uno soltanto. “Ho avuto la possibilità di vedere dal vivo Maradona, in ritiro a Reggello. Tutti i giorni ero al campo, anche solo per guardarlo mentre palleggiava, Uno spettacolo”. Anche qui, non c’è che dire, si comincia con il piede giusto.
Al suo arrivo in serie A gli domandarono cosa provasse nel sapere che Rudi Garcia, tecnico della Roma, guadagnasse dieci volte più di lui. Se fosse arrabbiato. “Non scherziamo veramente. Sono figlio di operai, ciò che percepisco basta e avanza. Mi pagano per fare una cosa che avrei fatto la sera, dopo il lavoro e gratis. Sono fortunato”. Uomo vero, dall’inizio alla fine. Come quando si è dimostrato raccontando in conferenza stampa dell’episodio con Samuel Eto’o. “Mi ha detto che era onorato di conoscermi, io gli ho chiesto ‘ma mi stai prendendo per il culo? Tu sei Samuel Eto’o. Sono io onorato di conoscere te’. Lui mi ha detto che la mia squadra gli piaceva tantissimo, ma mi ha fatto una grande impressione perchè ha fatto un gesto di grande umiltà con un allenatore credo per lui sconosciuto”. Umiltà, parola d’ordine per uno come lui, ma che non deve far credere abbia paura di allenare i grandi campioni. “Si possono gestire anche giocatori di grande personalità, arrivando anche allo scontro purché sia costruttivo. Basta restare se stessi ed essere sinceri. E io lo so fare”.
Chissà, magari facendosi aiutare dalla somiglianza con il ‘don Pietro Savastano’ interpretato da Fortunato Cerlino in ‘Gomorra’. In città è già impazzita la caccia alla vignetta più simpatica nel paragone tra i due. Magari la prima cosa che dirà ai napoletani ancora scettici nei suoi confronti sarà “Staje senza penzier”.
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