Mimma Noviello, figlia imprenditore ucciso: “Resto malgrado clan e precarietà”

“Tante volte con mio marito e i nostri figli abbiamo pensato di lasciare questo territorio, ma siamo sempre rimasti; perché è vero che ci ha tolto molto, ma ci ha anche dato la possibilità di costruire un percorso di vita civile e responsabile, di cui vado fiera. E di cui andrebbe fiero anche mio padre”. Il giorno dopo la cattura ad Acerra (Napoli) del latitante del clan dei Casalesi Francesco Cirillo, Mimma Noviello, figlia dell’imprenditore Domenico Noviello per il cui omicidio Cirillo era stato condannato a 30 anni dalla Cassazione (da qui il motivo della fuga), si sente più libera, ma non più leggera come qualcuno che si sia tolto un peso enorme dalla coscienza.

“Leggera non sarò mai perché papà non tornerà – dice Mimma – ma sono consapevole che la fermezza mia e dei miei fratelli mostrata durante i tre gradi di giudizio, è stato un esempio per tanti, così come i valori di civiltà e di fiducia nelle istituzioni che io e mio marito inculchiamo ai nostri figli, sono il frutto dell’eredità morale lasciata da mio padre”.

Ma cosa resta dopo una vicenda che ha segnato molto la provincia di Caserta, iniziata nel maggio 2008 con l’assassinio di Noviello ad opera del boss Setola e dei suoi killer, e protrattasi fino al 20 novembre scorso, quando la Cassazione ha condannato Francesco Cirillo, ultimo dei responsabili del delitto, e sicuramente il più importante dal punto di vista “simbolico”, visto che Setola agì per vendicarsi di Noviello che anni prima aveva denunciato e fatto condannare per estorsione proprio Cirillo. Resta probabilmente l’immagine più forte, e poco nota, di una famiglia, quella di Mimma Noviello, che è rimasta fedele ai valori di civiltà e legalità nonostante abbia toccato con mano i mali che si vivono nei territori tra Caserta e Napoli, ovvero la prepotenza della camorra e la provvisorietà di un lavoro che al Sud, anche quando si è assunti, non è mai certo.

Se Mimma ha perso il papà ad opera dei sicari dei Casalesi, il marito di Mimma, Pietro Delle Cave, rischia da mesi di perdere il lavoro essendo un dipendente della Jabil di Marcianise, azienda americana che da quasi due anni ha attivato una procedura di licenziamento collettivo per 350 dei 700 dipendenti; un iter che si concluderà nei prossimi mesi, non appena scadrà il divieto di licenziamento disposto dal Governo per l’emergenza Covid. Camorra e mancanza di lavoro appunto.

“Eppure siamo rimasti” dice con orgoglio Mimma, che raccogliendo l’eredità paterna, ha cercato di dare qualcosa agli altri, diventando docente in una scuola dell’infanzia di Caivano, cittadina dell’hinterland napoletano tra le più problematiche e difficili per la diffusione della criminalità anche tra i più giovani e la dispersione scolastica. Ogni giorno a lavoro, anche in questi due mesi in cui Cirillo era latitante.

“L’hanno preso ad Acerra, a dieci minuti d’auto da Caivano. Magari ci siamo anche incrociati” dice sarcastica Mimma, che ieri ha saputo della cattura proprio mentre tornava da scuola, grazie alla telefonata di un giornalista; nessuno ha pensato di avvisarla, nonostante anch’essa, come il fratello Massimiliano (sotto scorta), fosse in teoria in pericolo. “Ma non fa nulla, l’importante è che Cirillo sia in carcere. Noi continueremo a vivere in questa terra, e lo faremo credendo nelle istituzioni, anche se spesso non è facile, e tenendo sempre in mente il coraggio civile di mio padre” conclude.

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Redazione Desk

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