
Il bullismo torna a far parlare di sé, e lo fa attraverso la sua “evoluzione” tecnologica, il cyberbullismo. È di qualche giorno fa la notizia portata alle cronache di una ragazzina di soli 13 anni a Modena bullizzata dalle sue compagne di scuola per una sua disforia di genere. “Meglio dissanguata e vederla soffrire, bruciamola!” si legge in una chat sul social di messaggi anonimi Helopal, ed è solo uno di quelli che hanno portato la vittima ad isolarsi, a sentirsi diversa, non degna, parole dure e che tagliano come la lama di un pugnale, ancor di più se colpiscono un’adolescente. Finita nel mirino delle sue coetanee per i suoi gusti su abbigliamento e musica da loro definiti strani, diversi … ma diversi da chi e/o da cosa? verrebbe da chiedersi.
“Mia figlia si sente maschio, con noi ha fatto coming out, ma con gli amici non ancora” le parole di sua madre: il dolore interiore di cui soffriva la ragazzina non è infatti passato inosservato ai suoi genitori che, venuti a conoscenza della verità, si sono rivolti alla Polizia Postale per fare luce sulla vicenda, presentando una denuncia che però non è andata avanti perché le forze dell’ordine hanno preferito parlare ai bulli, far capire loro la pericolosità del loro atteggiamento. La vittima ora sta meglio, le cose stanno man mano migliorando da un anno a questa parte, dal quel triste momento.
Ma l’episodio lascia riflettere, e tanto, su ben due problematiche che trovano grande spazio nella nostra società, l’omofobia e il cyberbullismo. Nonostante il progresso e la cultura, l’omofobia per esempio è ancora una realtà che colpisce quotidianamente milioni di persone: il caso di Modena non è isolato, questo è un dato su cui riflettere, tanti altri ne sono successi, troppe volte le differenze individuali non vengono accettate ma piuttosto viste come fragilità da deridere, ghettizzare, e semplicemente perché la diversità fa paura.
Una brutta storia questa che si va perfettamente ad inserire in un contesto di vere tragedie legate al mondo del bullismo accadute negli ultimi tempi, come ad esempio il suicidio di Andrea Spezzacatena nel 2012 (il 15enne che ha ispirato “il ragazzo dai pantaloni rosa”), vittima di una società una società che spesso impone rigidi codici di comportamento e di genere, ma al contempo portavoce di una generazione che rifiuta le etichette e accetta la propria identità con fierezza. Cosa dire poi del cyberbullismo? Un vile atto di derisione, denigratorio, ancor più grave per la sua vitalità istantanea su web e social.
Questo caso pone a tutti dei dubbi sulla possibile convivenza tra le diversità con dovuto rispetto reciproco, ma può anche rappresentare un invito ad essere sempre se stessi, senza temere i giudizi degli altri: riconoscere e rispettare l’identità di genere delle persone non solo aiuta a ridurre il loro disagio, ma contribuisce anche a costruire una società più equa e inclusiva per tutti.
La violenza e il bullismo non sono mai accettabili, soprattutto tra giovani.