La morte di Ciro Esposito. “De Santis aveva elaborato un piano preordinato che prevedeva la provocazione contro un pullman di tifosi napoletani inermi. Quando Ciro Esposito e altri tifosi napoletani sentono le urla dei passeggeri del pullman, avvertono il pericolo, scavalcano il guardarail, la provocazione contro gli occupanti del pullman ha termine e prosegue invece contro di loro“. Così scrivono i giudici della corte d’assise della Capitale che il 24 maggio scorso hanno condannato a 26 anni di reclusione Daniele De Santis per l’omicidio del tifoso del Napoli Ciro Esposito, avvenuto in occasione della finale di coppa Italia tra la squadra partenopea e la Fiorentina, il 3 maggio 2014.
I giudici, sempre nelle motivazioni della sentenza, ricordano la testimonianza del cugino di Ciro, Domenico Pinto, che dice come “ad un certo punto, prima ancora di scappare, il De Santis si rivolge ai tifosi napoletani, cioè a Ciro Esposito, incitandoli a raggiungerlo, evidentemente per realizzare il piano già predisposto che, nel progetto folle, doveva concludersi con il pestaggio dei tifosi napoletani che erano corsi ad inseguirlo dentro il vialetto, là dove sarebbe stato spalleggiato da almeno sei individui non identificati che ovviamente, alla vista della moltitudine dei tifosi napoletani accorrenti, non hanno potuto fare altro che scappare“. Si sottolinea poi come De Santis la notte prima abbia preso della cocaina e sia sul luogo dei fatti con una pistola.
In merito alla dinamica lo stesso Pinto ha spiegato – continua la corte – che “appena De Santis è entrato nella stradina, dopo qualche metro, Ciro Esposito lo ha raggiunto, c’è stata una brevissima colluttazione, forse Ciro Esposito è riuscito a dargli uno schiaffo, forse un pugno, comunque c’è stata una brevissima colluttazione e, subito dopo, De Santis ha estratto la pistola e ha sparato“. In ogni caso – si aggiunge – “la Corte non può non rilevare come nelle cronache degli scontri fra tifosi avvenuti in patria, la tragica vicenda di cui è processo sia stata un unicum, prima inaudito“.
Perché “in altri episodi mai si è fatto uso di armi da fuoco, giungendo al massimo all’uso del coltello, ma mai usato per uccidere, bensì sempre e solo con l’intenzione di procurare ferite superficiali, come quelle subite dall’imputato, appunto le ‘puncicate’. Ed è indubitabile che l’intensità del dolo dimostrato da De Santis fino a lambire le forme della premeditazione sia massima. Egli, secondo la dinamica dei fatti, preordina in concorso con altri soggetti, un vero e proprio agguato e non solo si premunisce di bombe carta, ma anche di una pistola che porta appresso carica e con il colpo in canna, perché lo sviluppo e la progressione dell’agguato progettato è tale per cui egli prevede che possa determinarsi una situazione per cui debba sparare“.
This post was published on Lug 26, 2016 9:08
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