Il 18 giugno 1982, sotto il ponte dei frati neri di Londra, veniva ritrovato il corpo esanime del noto banchiere Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano Veneto.
di Luigi Casaretta
Era il 18 giugno 1982 quando sotto il ponte dei frati neri di Londra venne ritrovato il corpo esanime del noto banchiere Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano Veneto all’epoca chiacchierato istituto di credito a metà tra la finanza vaticana del discusso monsignor Paul Marcinkus, la loggia massonica P2 di Licio Gelli ed esponenti della Dc e del partito socialista di Craxi.
Venne trovato impiccato con dei mattoni nelle tasche e 15000 dollari ed un passaporto con le generalità modificate in Gian Roberto Calvini; indosso anche un foglio con alcuni nominativi: quello dell’industriale Filippo Fratalocchi (noto produttore di apparati di guerra elettronica e presidente di Elettronica S.p.A.), del politico democristiano Mario Ferrari Aggradi, del piduista Giovanni Fabbri, di Cecilia Fanfani, dell’amico di Sindona ed ex consigliere del Banco di Roma, Fortunato Federici, del piduista e dirigente della BNL Alberto Ferrari, del piduista e dirigente del settore valute del Ministero del commercio con l’estero Ruggero Firrao e del Ministro delle finanze del PSI Rino Formica.
Il giorno prima si era suicidata la sua segretaria personale, Teresa Graziella Corrocher, lanciandosi dal quarto piano dell’edificio sede del Banco Ambrosiano a Milano.
Le indagini per la magistratura inglese furono subito e alquanto superficialmente archiviate come suicidio ma sei mesi dopo, la Corte Suprema del Regno Unito annullò la sentenza per vizi formali e sostanziali e il giudice che l’aveva emessa venne incriminato per irregolarità; il secondo processo britannico lasciò aperta sia la porta del suicidio, sia quella dell’omicidio.
Lo scrittore Leonardo Sciascia, in un articolo del 24 luglio 1982 comparso sul quotidiano Il Globo, sostenne che Calvi si fosse suicidato e giudicò assurda l’ipotesi dell’omicidio.
Seguirono trent’anni di processi in Italia dove vennero chiamati in causa tra mandanti ed esecutori, il boss mafioso Pippò Calò, la banda della Magliana, la camorra con esponenti dei “casalesi” finanche Vincenzo Casillo, braccio destro poi pentito di Raffaele Cutolo, tutti più o meno collegati con il gotha della politica dell’epoca, dove rientrarono anche il maestro venerabile Licio Gelli e Giulio Andreotti.
Non mancarono le presunte responsabilità del Vaticano e addirittura della pista internazionale polacca che portava al movimento Solidarnosc, di cui si riteneva che il Banco riciclasse denaro in suo favore, fatto sta che il banchiere milanese con la sua disinvolta gestione del Banco attirò diverse inimicizie, ritrovandosi solo di fronte all’accusa che gli mosse la Banca d’Italia di reati valutari.
La fuga a Londra, da latitante, non gli bastò a salvare la vita. La morte invece è da quarant’anni un altro mistero italiano della prima repubblica.