E’ morto Raffaele Cutolo, il boss aveva 79 anni: porta con sé segreti e una scia di morte

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Raffaele Cutolo: "Se parlo crolla il Parlamento"

Il cuore de ‘O professore di Ottaviano si e’ fermato ieri sera all’ora della cena nel reparto sanitario del carcere di Parma. Le condizioni di Raffaele Cutolo, fondatore della Nuova camorra organizzata, a 79 anni il piu’ anziano tra i detenuti al 41 bis, si erano aggravate negli ultimi mesi. Nel giugno scorso i suoi legali avevano avanzato una richiesta di detenzione ai domiciliari, ma il Tribunale di sorveglianza di Bologna l’aveva rigettata, motivandola non solo per la pericolosita’ del camorrista, ma per il fatto che Cutolo ha continuato a rappresentare un simbolo della potenza di una delle organizzazioni criminali piu’ temibili in Italia. La sua e’ una storia lunga, fatta di omicidi, fughe e persino di libri e film che hanno tentato di tratteggiarne l’identita’.

Figlio di un contadino e di una lavandaia, deve il suo appellativo al fatto che nei primi anni di detenzione poteva vantarsi di essere tra i pochi carcerati a sapere leggere e scrivere. Licenza elementare, e piglio da criminale, a soli 22 anni commette il suo primo omicidio. Ammazza a colpi di pistola Mario Viscito, la sua prima vittima, reo di essersi abbandonato a degli apprezzamenti pesanti nei confronti della sorella Rosetta. Dopo una veloce fuga si costituisce: comincia la sua prima detenzione nel carcere napoletano di Poggioreale. Ed e’ qui che dimostra la sua caratura criminale, soprattutto quando sfida al duello il boss Antonio Spavone. Una disfida alla molletta, il coltello a scatto. Spavone non si presenta all’appuntamento e lui diventa una sorta di protettore dei detenuti. La sua e’ una vita trascorsa tra i penitenziari di mezza Italia, periodi di latitanza e persino ricoveri in manicomi grazie a perizie psichiatriche favorevoli smentite da revisioni piu’ precise. Ma e’ all’interno di uno dei penitenziari italiani che nasce la Nuova camorra organizzata.

Organizzazione rigida, basata su una divisione del potere piramidale, dall’impronta quasi paramilitare, fondata sul rispetto della gerarchia e sul culto del suo capo, detto “Vangelo”; Cutolo appunto. Ispirandosi alla Bella Societa’ Riformata, Cutolo concepisce una nuova consorteria criminale traboccante di simboli, con tanto di rituali di iniziazione e giuramenti di stampo massonico da parte degli adepti. Nel 1977 lascia Poggioreale dopo che una sentenza della Corte d’Appello gli riconosce l’infermita’ mentale. Viene trasferito all’ospedale psichiatrico di Aversa, ed e’ qui che fugge insinuandosi nello squarcio aperto su una parete. Squarcio provocato da una carica di nitroglicerina piazzata all’esterno dell’edificio. Un anno dopo viene nuovamente catturato. Ma nel periodo di latitanza ha il tempo di intrecciare rapporti con la politica, di riorganizzare i suoi affari in Campania e di stringere accordi con la Banda della Magliana. Intanto da dentro continua a gestire i traffici illeciti e a ordinare omicidi.

Persino a mettere le mani su una fetta della torta nella ricostruzione del terremoto dell’Irpinia. Si ritaglia pure un ruolo nel rapimento dell’assessore democristiano Ciro Cirillo; a lui si rivolgono gli uomini dei “servizi” e pezzi della politica per intavolare una trattativa con i brigatisti per la sua liberazione. Nel 1982 il presidente della Repubblica Sandro Pertini, sull’onda dello scandalo di Cutolo detenuto di lusso, lo manda in “esilio” all’Asinara, dove sara’ l’unico dei detenuti. E’ un duro colpo per ‘o professore; la sua stella comincia a non brillare piu’, la sua organizzazione si sgretola sotto i colpi di arresti, dissociazioni e collaborazioni con la giustizia. Cutolo intanto viene condannato al carcere duro. Dei suoi 79 anni di vita, 24 li ha trascorsi in liberta’, i restanti in prigione.

Una lunga scia di sangue

Simonetta Lamberti viene uccisa il 29 maggio del 1982 a undici anni, mentre e’ in auto con il padre, il giudice Alfonso Lamberti allora procuratore di Sala Consilina, impegnato nelle indagini contro la Nuova Camorra di Raffaele Cutolo. L’omicidio di Simonetta Lamberti è rimasto senza giustizia fino al 2011, quando un dissociato della camorra viene intercettato mentre confida al compagno di cella di essere stato parte del commando che sparò verso la macchina del magistrato. È Antonio Pignataro, membro della Nuova camorra organizzata guidata da Raffaele Cutolo.

Nel 1973 Giuseppe Salvia viene nominato vicedirettore del carcere di Poggioreale negli anni in cui la Nuova Camorra Organizzata reclutava manovalanza all’interno del carcere stesso. Nel 1980 si scontrò direttamente con Raffaele Cutolo, poiché al rientro da un’udienza in un processo, il boss di Ottaviano non volle essere perquisito, come prescritto dal regolamento. Al rifiuto degli agenti penitenziari, che temevano ripercussioni, il vicedirettore perquisì personalmente il capo della NCO. Il boss reagì tentando di schiaffeggiarlo. Il 14 aprile del 1981 Salvia fu ucciso in un agguato sulla tangenziale di Napoli, avvenuto all’altezza dello svincolo dell’Arenella.

Il maresciallo dei Carabinieri Luigi D’Alessio, 41 anni, l’8 gennaio del 1982, mentre era in servizio assieme al Capitano Sensales ed al collega Sandulli, a bordo di un’auto modesta, riconobbe su una vettura di grossa cilindrata due pericolosi camorristi, legati al clan Cutolo, latitanti da tempo. Dopo un inseguimento, D’Alessio scese e chiese i documenti, ma fu sorpreso dalla estrema rapidità con cui furono sparati numerosi colpi di pistola. Il maresciallo cadde esanime, con il corpo crivellato. I colleghi rimasero feriti.

Rosa Visone aveva appena 16 anni. Attraversava la strada ad un centinaio di metri di distanza. Fu raggiunta dai proiettili ed uccisa.

Pasquale Cappuccio, avvocato e Consigliere comunale socialista, viene ucciso il 13 settembre 1978 per le sue denunce sulla collusione della malavita con la politica in riferimento ad appalti e speculazioni edilizie volute da Cutolo e appoggiate dall’ex sindaco di Ottaviano, ex assessore provinciale, ex socialdemocratico tra i più votati in Italia, prima di essere stato espulso dallo stesso, Salvatore La Marca. Il feroce agguato avviene mentre torna a casa con la moglie: è crivellato di colpi da un commando di killer mandati da Raffaele Cutolo.

Il 21 aprile 1982 vengono uccisi a Bellizzi dai sicari della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, Antonio Esposito, 54 anni, Luigi Stelo, 53 anni, Raffaele Sarnataro, 51 anni, perché scambiati per errore per esponenti della Nuova Famiglia, in piena faida con la NCO.

Domenico Beneventano, medico e consigliere comunale a Ottaviano, si oppose apertamente alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, cercando di impedirne gli affari con la politica locale e le speculazioni che avrebbero interessato il Parco del Vesuvio. All’alba del 7 novembre 1980, mentre saliva in auto per recarsi a lavoro, Domenico venne ucciso dai sicari di Cutolo.

Marcello Torre, sindaco di Pagani, si oppone dunque al connubio politico mafioso, mantenendo la schiena dritta fino a quel maledetto 11 dicembre 1980, quando viene assassinato a colpi di lupara dal reo confesso Francesco Petrosino. Omicidio commissionato dal boss Raffaele Cutolo, che non poteva accettare il rifiuto deciso del sindaco alla richiesta di ‘gonfiare’ i numeri dei cittadini senzatetto, in modo tale da ottenere cospicui finanziamenti per le imprese del territorio, che hanno cognomi pesanti, in vista della ricostruzione dopo il terremoto.

E’ il 17 dicembre del 1980 quando Mena Morlando viene uccisa a pochi passi da casa. La 25enne è l’ennesima vittima innocente di camorra, coinvolta nella furia omicida dei clan che all’epoca erano in guerra per spartirsi la torta degli appalti per la ricostruzione delle zone terremotate. Mena quel giorno era scesa di casa per raggiungere una lavanderia poco distante, ma nel corso del tragitto a piedi si è trovata coinvolta nell’agguato diretto a colpir Francesco Bidognetti, all’epoca boss emergente della camorra casalese in soggiorno obbligato a Giugliano, e vecchi esponenti della Nuova Camorra Organizzata, come Battista Marano, che era legato al clan Mallardo, affiliati al boss Raffaele Cutolo.

È la sera del 27 marzo 1981. Due sicari di Raffaele Catapano, uomo di fiducia di Raffaele Cutolo, Mario Cuomo e Antonio Schirato, ottengono sotto falso nome un appuntamento con l’avvocato Dino Gassani nel suo studio nel centro storico di Salerno, spacciandosi per nuovi clienti; una volta soli nello studio con il legale, lo minacciano di morte a meno che lui non convinca il suo assistito Biagio Garzione a ritrattare le accuse contro Catapano. Ma Dino Gassani mai si sarebbe piegato a quello che la camorra di Cutolo voleva, mai avrebbe rinnegato il suo mandato difensivo; e seduto alla sua scrivania, durante quel colloquio di cui già intuisce la conclusione, scrive su un foglietto: “Non posso perdere ogni dignità”. Viene ucciso per questo suo ennesimo rifiuto, insieme al segretario Pino Grimaldi, ex agente di polizia, amico fraterno di Dino.

Era il 7 ottobre 1982 e sull’autostrada Napoli-Bari, in prossimità dell’uscita Avellino-Est, un commando di otto uomini su tre auto bloccò il furgone Peugeot blindato nel quale era custodito Mario Cuomo, pregiudicato della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Il detenuto, da quattro mesi nel carcere di Campobasso, stava per essere trasportato ad Avellino dove sarebbe dovuto comparire davanti ai giudici per l’imputazione di concorso in omicidio. Nell’agguato venne ucciso anche il carabiniere Elio Di Mella, che rifiuta di mollare le catene che legano Cuomo, consentendogli di fuggire.

Gennaro De Angelis, agente di Custodia, in servizio presso la Casa circondariale di Napoli Poggioreale “G. Salvia”, come addetto al sopravitto, viene ucciso il 15 ottobre 1982 mentre si trovava in un circolo ricreativo nelle vicinanze della propria abitazione. In quegli anni la Nuova Camorra Organizzata, il clan del boss Raffaele Cutolo, ammazzava chiunque si rifiutasse di mettersi al servizio del clan e negasse favori. Gennaro De Angelis si era rifiutato di fare qualche favore ai detenuti di Poggioreale.

Mariano Mellone è un operaio e lavora in una fabbrica di calzature di S.Giorgio a Cremano. Il 12 marzo del 1981, riesce ad ottenere un permesso di lavoro e, dopo aver accompagnato la moglie, si reca nell’autofficina dell’amico per riparare l’auto. Sono le due quando nella zona della ferrovia si sentono colpi di pistola e grida tra le persone che scappano. Mariano e l’amico si affacciano per vedere cosa sta accadendo. Fuori è il caos. I due spaventati dal fuoco esploso in strada rientrano nell’officina per trovare riparo. Con loro anche Ciro Mazzarella, nipote del boss Michele Zaza, che cerca di scappare dagli emissari inviati dal boss Raffaele Cutolo. È lui l’obiettivo del raid. Gennaro Palumbo, l’amico di Mariano, riesce a trovare riparo sotto ad una macchina e riporterà solo alcune ferite, Mariano invece non riesce a trovare rifugio migliore e resta nascosto tra un muro e una vettura. Mariano è di spalle e accovacciato e spera di non essere raggiunto dai killer, ma questi accortasi dell’uomo nascosto e pensando fosse il boss designato, senza esitare gli sparano alla nuca, lasciandolo in un mare di sangue.

Nella stessa circostanza è coinvolta anche Francesca Moccia, fruttivendola del quartiere, che è li’ a svolgere il suo mestiere quotidiano.