Il murales di Pino Daniele a largo Ecce Homo, realizzato in tempi record dallo street artist Zemi, sta facendo discutere i cittadini napoletani e le istituzioni. A suscitare le polemiche non è la qualità o lo spessore artistico dell’opera (su cui pure qualcuno ha espresso perplessità), bensì il luogo che è stato scelto per la sua realizzazione: la superficie che ha fatto da maxi lavagna all’estro del writer partenopeo appartiene a un palazzo storico, e il murales campeggia proprio di fronte alla seicentesca chiesa di Santa Maria dell’Aiuto, piccolo gioiello di architettura del centro storico, a sua volta “gioiello” patrimonio artistico e culturale dell’Unesco.
Una circostanza che ha fatto non poco discutere quanti considerano la street art un semplice “imbrattamento” delle mura cittadine, e vedono nella trovata soltanto un modo per sporcare la città, già afflitta dal problema dei graffiti senza capo né coda. Il murales realizzato da Zemi in memoria di Pino Daniele rischia quindi di essere rimosso: ed è subito polemica.
La guerra si consuma in seno alla I Municipalità, che vede il presidente Francesco Chirico, convinto dell’illegittimità dell’opera, opporsi al consigliere Pino De Stasio, che invece difende il murales. “Credo, da Presidente di Municipalità e da fan di Pino Daniele, che questo murales realizzato su una fabbricato di una Piazza Storica vada rimosso quanto prima. Si tratta senza mezzi termini di un espressione artistica illegale che l’istituzione non puo avallare indipendentemente dai sentimenti personali” ha affermato Chirico. Secca la replica di De Stasio: “Combatto gli imbratti ma difendo i writers. Ricordo lo strillo di Maradona”.
Il murales che voleva essere un omaggio alla memoria di Pino Daniele divide, invece di unire i napoletani nel suo ricordo. Se, da un lato, è vero che imbrattare le mura della città, a prescindere dal valore artistico dell’opera realizzata, è un atto fondamentalmente fuori legge, è pur vero che esiste, come sostiene De Stasio, una profonda differenza tra Street Art e graffiti sconnessi, e che la prima è universalmente riconosciuta come “Arte” con la “A” maiuscola, arrivata ormai anche nei musei (ne è un esempio l’expo, che proprio Napoli ospita, al Pan, di Obey, celebre street artist statunitense). D’altra parte, non si possono sottovalutare le proteste di quanti contestano la scelta della “location” per il murales, che effettivamente va a “sfigurare” la facciata di un palazzo storico che, invece, dovrebbe essere tutelato in quanto patrimonio architettonico collettivo.
La scelta migliore sarebbe stata probabilmente quella di realizzare il murales in un’altra zona meno antica della città, in modo da sedare le giuste apprensioni di quanti insistono a considerare la street art non la nuova frontiera dell’arte figurativa, ma un atto deturpante e illegale. Nessuno ha avuto niente da ridire, per esempio, sull’opera di Raffo, realizzata a Gianturco, in un quartiere periferico e di costruzione relativamente recente.
Altra via avrebbe potuto essere quella di seguire l’esempio di Zilda, street artist francese attivo a Napoli, che preferisce disegnare le sue opere su carta adesiva (che nel tempo si deteriora e si stacca da sola) da incollare nei luoghi prescelti, senza irrompere, a forza e indelebilmente, nel continuum architettonico della città (a tutto vantaggio della tutela delle vecchie mura, anche se a completo danno della nuova arte, che diventa così un’impressione fugace e transitoria).
Ma sul murales di Pino Daniele a largo Ecce Homo c’è anche chi maligna, mettendo in discussione la qualità “artistica” dell’opera (che non è esattamente piaciuta a tutti): se il ritratto “stradale” di Pino Daniele fosse stato di fattura migliore, forse non avrebbe destato tutte queste polemiche…?
This post was published on Gen 10, 2015 17:09
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