Cultura, arte e tutto ciò che rende Napoli un luogo unico nel suo genere
di Fabio Iuorio
Le Sirene, creature di pura fantasia, sono narrate da Omero nell’Odissea: parliamo di Ligia, Leucosia e Partenope, tre sorelle, figlie del Dio Acheloo e della musa Melpomene. La mitologia narra che Partenope cercò di sedurre Ulisse con il suo bellissimo canto fallendo miseramente e, non accettando mai questo rifiuto, si gettò da una roccia. Il suo corpo fu portato dalle correnti marine fino all’isolotto di Megaride, dove oggi sorge il Castel dell’Ovo. Fu in quel punto che dei pescatori lo ritrovarono: da quel momento la Sirena Partenope fu venerata come una dea, divenendo protettrice del luogo e dando al piccolo villaggio il suo nome. Ecco come nasce la città di Napoli secondo la tradizione mitologica.
Napoli è una città d’arte e di cultura, su questo non ci sono dubbi, è teatro: qui chi parla, qualsiasi cosa dica o racconti, è l’attore e chi ascolta, anche per un solo minuto, è il pubblico. Nulla è finzione, eppure tutto è teatro. Purtroppo Napoli, come d’altronde anche altre città italiane e mondiali, è anche terreno fertile di episodi spiacevoli, di delinquenza e malavita organizzata, che infangano il suo buon nome. Spesso viene rigirato il coltello nella piaga dagli stessi mass media che propongono spesso e volentieri solo notizie nere di questa città, o da fiction che, pur proponendo temi di attualità, di camorra, dipingono Napoli solo come una città “mandolino, pizza e malavita”, trascurando la parte sana: onestà e delinquenza sono i due poli opposti che si contrastano da sempre qui, senza mai primeggiare l’uno sull’altro. A Napoli trovi i grattacieli del centro direzionale, una stazione metropolitana tra le più belle d’Europa e le viuzze strette e lastricate, profumate di detersivo e ragù, su cui si specchiano i “vasci”. Napoli, come dicevo, è patria di cultura, ha dato i natali a personaggi di rilevanza mondiale come ad esempio Eduardo De Filippo, Totò, Caruso: persone che, ognuno secondo la propria indole, hanno esportato il volto artistico di Napoli, trasformandosi in veri e propri miti di una città tanto amata quanto odiata. Odi Et Amo, per dirla alla Catullo, ecco cosa si prova ad essere napoletano e a vivere questa città: la si ama come una mamma ma provoca anche sensi di forte rabbia per tanti aspetti che ne fanno diventare una contraddizione vivente.
A Napoli si parla sempre, anche tra estranei, basta poco per attaccare bottone, siamo uomini d’amore come diceva il grande Luciano De Crescenzo. La gente considera l’altro al di fuori di sé un amico non un nemico da abbattere, non c’è tempo né voglia di essere razzisti contro il prossimo, siamo pronti a dare una mano a chi ne ha bisogno: ricordiamo ad esempio come in questo periodo di pandemia proprio a Napoli è stato inventato il paniere della solidarietà, veri cesti sospesi ai balconi dove chi può inserisce beni di prima necessità e chi invece ha bisogno può prendere liberamente.
Purtroppo ci sono fortissimi problemi sotto il profilo del mondo del lavoro, una piaga che non ha accennato a fermarsi e che costringe parecchi ragazzi ad emigrare alla ricerca di un lavoro per costruire il proprio futuro. Le incertezze occupazionali di Napoli, ma anche della restante parte del Sud Italia, sembra non interessare molto i vari Governi che nel corso degli ultimi decenni si sono susseguiti, e, cosa ancor più grave, chi decide di andar via spesso denigra le sue origini, la sua terra, alimentando un clima di odio e di eterna rivalità tra Nord e Sud. Chi è rimasto qui, in questa terra, ha il dovere sacrosanto di difenderla, non offenderla. E’ una battaglia di civiltà. Perché essere di Napoli non è più il solito scontato simm ‘e Napule, paisà.