Sono due le imbarcazioni di epoca romana affiorate nel pozzo del metrò di Piazza Municipio. Entrambi i relitti sono ancora sigillati, per quasi il cinquanta per cento della loro lunghezza, all’interno dello strato di fango che in seguito a eventi alluvionali, verificatisi tra il III e il V secolo dopo Cristo, interrarono il porto della Neapolis romana.
Di quei legni, affondati probabilmente a causa di violenti fortunali, e delle loro caratteristiche, oltre che delle altre tre navi rinvenute sempre in quell’area nel 2005, tratterà Giulia Boetto, del Cnrs francese “Camille Jullian” dell‘Università di Aix – Marseille, oggi, alle 16.30, presso la sede dell‘Orientale di Palazzo Corigliano (in piazza San Domenico Maggiore) in un incontro dal titolo “Archeologia navale a Napoli: nuovi e vecchi ritrovamenti nello scavo della metropolitana”.
Neapolis romana, parla l’archeologa Daniela Giampaola
In maniera particolare, come rivela Daniela Giampaola, archeologa della ex Soprintendenza archeologica di Napoli – ora “soprintendenza archeologica della Campania” guidata da Adele Campanelli, in virtù della legge che rimodulava il Mibac e le diverse soprintendenze italiane – si dirà anche della caratteristica estremità (prua o poppa) “a specchio” (non sagomata come quella delle barche o dei gozzi attuali, ma verticale) di una delle due nuove imbarcazioni.
Particolarità, quest’ultima, che già era stata riscontrata in uno dei tre legni trovati nel 2005 e che, dunque, è elemento in grado di sottolineare l’eccezionalità del rinvenimento di questi due relitti (indicati come «Napoli F» e «Napoli G»), ritrovati ai limiti dell’area di cantiere, tagliati in pieno dalle paratie dello scavo.
Altre due imbarcazioni con estremità a “specchio” sono state ritrovate nel porto romano di Tolone, in Francia, e una vicino a Ostia, in prossimità del Tevere. E questo anche se, come sottolinea Giampaola, “non ci sono ancora, nella maniera più assoluta, dati certi da presentare” perché solo “appena avremo terminato di riportare alla luce queste due nuove barche e aver studiato le loro caratteristiche daremo tutte le informazioni in nostro possesso“. Possiamo però dire, aggiunge l’archeologa, che “si tratta di due relitti che sembrano databili tra la fine del II secolo dopo Cristo e gli inizi del III secolo dopo Cristo“.
Legni che, dunque, non si dovrebbero discostare di molto da quelli trovati nel 2005 e che, studiati, sono risultati essere delle imbarcazioni di piccolo–medio cabotaggio. Ovvero, battelli lunghi circa quindici metri che erano addetti al trasporto marittimo di derrate alimentari o merci di altro tipo, tra porti vicini. Le cause dell’affondamento delle imbarcazioni, secondo l’archeologa della Soprintendenza, vanno individuate, oltre che in una violenta mareggiata, che all’epoca dovette colpire il porto, anche nel fasciame che non si trovava davvero in ottime condizioni, perché in più parti risulta rabberciato e rattoppato alla meglio.
Neapolis romana: Giulia Boetto e i seminari di “Archeologia marittima”
Nelle identiche, pessime, condizioni erano le navi trovate nel 2005, di cui tratterà appunto Giulia Boetto, nell’ambito di lezioni seminariali di “Archeologia marittima” coordinate da Chiara Zazzaro. Insomma, si potrebbe trattare di naviglio costruito almeno trent’anni prima che la tempesta lo affondasse.
Riportate alla luce, le imbarcazioni, così come è stato per quelle ritrovate dieci anni fa, si procederà a una serie di analisi finalizzate a delineare con certezza la tipologia dei legni con i quali sono state costruite. In buona sostanza, tuttavia, il tipo di legname dovrebbe avere caratteristiche resinose, per meglio resistere all’attacco dell’acqua salmastra.
“Per adesso – sottolinea ancora Giampaola – sulle barche non sono state trovate tracce di eventuali carichi. E nemmeno si è in grado di dire se si muovevano a remi oppure erano provviste di vela: ne sapremo di più solo quando avremo recuperato del tutto i due preziosi reperti”.