Una città abbracciata in un tempo abbracciato… non sempre si abbraccia per proteggere, spesso lo si fa per stritolare, per chiudere, per mistificare. Non la città è responsabile, però, non il tempo lo è ma le persone incapaci di vedere il bene e il bello e sempre vigili a proteggere solo se stesse senza riuscire a fare rete. Non tutte le persone, ma una buona parte che si è disabituata a cogliere i mutamenti in positivo e temendo solo quelli in negativo ha smesso di costruire la speranza.
Già, costruire la speranza, perché la speranza non cala dall’alto senza che si faccia niente per darle fondamenta, presenti e future. Troppi in atteggiamento protettivo, ma di che? Di se stessi. Come se quello che accade intorno potesse non penetrare dentro, come se si fosse rivestiti da una pellicola speciale che preservi il dentro dal fuori.
Apparentemente trasparenti, nel silenzio nutriamo rancore e agiamo sordide manovre che arrechino solo benefici personali.
Fuori da quella pellicola, il mondo non esiste; neanche il mondo più prossimo esiste.
Quello che riusciamo a immaginare è solo il nostro mondo al di qua della pellicola protettiva, non importa quanto essa ci impedisca di respirare e offuschi e deformi la realtà vera che andrebbe affrontata.
La paura per noi stessi alimenta la paura contro chiunque.
Chi lotta per l’onestà e vigila sull’integrità, è una specie di alieno che faremmo volentieri tornare sul pianeta sconosciuto da cui ci ha raggiunti, anche se non è venuto a portarci guerra ma pace, non prepotenza ma giustizia, non odio ma onestà.
E’ un estraneo, bisogna abbandonarlo e lasciarlo in solitudine!
Che altri pensino alla sua vita o alla sua morte, purché si possa restare tranquilli a guardare dalla finestra o da uno schermo quello che gli accade ma che non ci tocca, la sua vita come la sua morte.
Si parli invece di quelli che fanno più audience.
Si parli di quelli che non rischiano davvero pur affermando il contrario, di quelli che hanno sfruttato situazioni complicate per essere nominati dal mondo.
Gli eroi silenziosi, quelli che rischiano davvero, non nominiamoli, lasciamoli soli perché in quell’abbandono provino il ritmo della loro colpa: la fedeltà alla verità, alla giustizia, all’onestà.
Perché è questa la colpa.
Questa la causa dell’abbandono e della solitudine in cui sono lasciati, in cui Nino De Matteo, magistrato uomo/uomo magistrato è abbandonato.
A noi non tocca, non ci tocca, tocca sempre a qualcun altro prima che a noi.
Se, poi, dovessero davvero realizzarsi le minacce, sapremo fingereun dolore che non proviamo, ma non ci assumeremo responsabilità che non sentiamo nostre perché non abbiamo fatto scattare noi il detonatore, né abbiamo procurato il tritolo.
E invece no, ci sbagliamo, ci tocca e come!
Il detonatore lo abbiamo innescato noi, con il nostro silenzio, con l’isolamento e la paura che hanno dato potere a chi non ne è degnoma sa che siamo nascosti nel nostro perbenismo e nelle nostre paure, sa di tenere in pugno le persone incapaci di alzare la testa, quelle che la dignità l’hanno sepolta sotto la sabbia, come uno struzzo che nasconde la sua testa. Sa e agisce.
Allora sì, che l’onesto Magistrato sarà degno di pagine intere su giornali, riviste, web.
Allora sì, che si faranno cortei, commemorazioni.
Si attribuiranno onorificenze al Magistrato e alla sua scorta, già, perché una tale quantità di tritolo non uccide una persona sola. Anche a questo penseremo dopo e ci sarà, anche chi penserà senza forse avere il coraggio di dirlo ad alta voce “che in fondo se l’è cercata”.
History will teach us nothing canta Sting nella sua omonima canzone… Falcone, Borsellino e i troppi altri di cui si fanno elenchi solo per commemorarli, hanno una storia che non insegna?
Chi cambia la storia? Perché la storia non si cambia da sola.
Gli uomini cambiano la storia, gli uomini e le donne coraggiose capaci di esprimere dissenso e di alzare la voce. Dire #iosonoconDiMatteo non può essere solo una scritta con foto sui social, deve essere di più, deve essere l’impegno ad alzare la voce e le mani per dire #ioesistoesonoonesto.
…ciò che cambia tra il prima e il dopo è la consapevolezza di sapere quello che non sapevi e di dovertene ricordare e di non poter fare finta di niente. C’è dunque un abisso tra il prima e il dopo; un abisso colmabile solo in parte con la cura e la responsabilità del presente. Il prima, più leggiadro del dopo, canta alla luna la sua inesperienza; il dopo, appesantito dalla scoperta, chiede alla luna di non lasciarlo andare.
La storia inizia da noi e la cambiamo noi.
Loredana De Vita
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