“Non scavalcare quel muro” (Nulla Die edizioni), romanzo di Loredana De Vita

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non scavalcare quel muro

Ambientato a Napoli, il romanzo di Loredana De Vita, Non scavalcare quel muro, affronta il dramma della violenza sulle donne con particolare attenzione non solo alla violenza fisica, ma anche a quella psicologica non tralasciando l’analisi di che cosa accade in chi la violenza la subisce in maniera indiretta: i figli.

“Attraverso il racconto di una madre e la scoperta di una lettera, una figlia si inoltra in un viaggio che la porterà a penetrare sempre più nei segreti sconvolgenti della sua giovinezza” si legge nella sinossi che prosegue “Una storia dura, a tratti cupa, che si snoda dagli anni del secondo dopoguerra in cui la libertà di una donna era condizionata dalle convenzioni sociali, fino ai nostri giorni in cui la pretesa maschile di dominio della vita dell’altra si manifesta nella forma fisica e volgare della violenza”.

L’autrice, saggista, conferma in questo primo romanzo di essere in primis una conoscitrice di anime. Una che entra nella parte più intima delle persone con discrezione, in punta di piedi, ma scuotendo come un uragano che irrompe all’improvviso se necessario.

Questo romanzo, emoziona, fa piangere, ma non intristisce. Piuttosto, scava l’anima del lettore provocando ricordi sopiti, storie di famiglia, di madri e figli.

Questo romanzo è una carezza sul cuore, ma anche sale che brucia sulle ferite aperte mentre invita a ricostruire il proprio passato, la propria vicenda personale e discorrere con i ricordiabbandonati nell’intimo della memoria.

O, più semplicemente, porterà a guardare ad un’attualità fin troppo dolorosa ma utile affinché ci possa essere un superamento.

L’impegno e il rispetto per i lettori è grande. La storia, dolorosa e cruda, è intrisa di senso di responsabilità. Anche con i silenzi e con le parole non dette, i suoi personaggi riescono a raccontare storie di vita.

Molte le pagine che lo compongono, ma che non stancano.Tutt’altro… Si ha difficoltà a staccarsene perché Maria, la protagonista, va ascoltata, e con lei tutti gli altri.

L’amore per la vita o il desiderio di morte, il peccato o la violenza, l’egoismo o l’odio sono figli della stessa madre e talvolta per sopravvivere bisogna morire.

Perché si dovrebbe leggere questa storia? Perché il passato è nel presente e si valuta poco quanto certe storie di violenza non finiscono nella vittima e nel carnefice dichiarati, ma continuano nelle storie di chi in silenzio le ha osservate e vissute.

Sono storie che offrono una speranza solo nella consapevolezza di chi riesce a raccontare.

E’ un racconto che si intreccia con la vita e la morte. Nella sinossi si legge “Non una biografia o una cronaca, ma una deposizione al Tribunale degli assenti: chiamare a comparire il fabbro che col fuoco ha scaldato il ferro torcendolo irrimediabilmente per sempre e che non tornerà più dritto. Diventerà più bello, ma mai più dritto.

Un monito per l’oggi. Una catarsi per quel che è stato. Il lettore rischia di trovare molto di sé stesso, del suo presente o del suo passato” ed è proprio così. Troppe storie di oggi continuano a raccontare quella stessa condizione di prostrazione.

Tina Femiano, attrice e interprete di grande spessore artistico e umano, dice del libro dopo averlo letto: “ho trascorso la domenica lavorando al libro. Ho interrotto per il pranzo e lacena e ho continuato fino alle quattro di mattina perché non riuscivo a staccarmene. E’ (un libro) scritto cosi bene da turbare, emozionare, incazzare, voler stare con Maria per aiutarla. (…) Io credo che questo libro debba diventare un testo di studio, seminari, ovunque sia possibile, scuole, convegni per tutte le ragazze che vanno ad affrontare la vita e per quelle che già sono in stato di sudditanza. Bisogna portarlo nei centri antiviolenza e programmare la lettura di tutto il libro. (…)”.

Scrive ancora l’autrice nella sinossi, “Raccontare è resistere… le parole, così come le idee e le cose che sono chiamate ad esprimere, hanno una storia che deve essere nominata affinché non imploda e si disperda inutilmente”.

Con questo pensiero auguriamo buon viaggio a “Non scavalcare quel muro”, come compagni di viaggio di “Maria”, delle tante “Maria” che sappiano riconoscere e siano aiutate a farlo se davanti a sé hanno un muro da non scavalcare, cioè un amore malato.

Recensione di Anna Copertino