Avendo fatto le elezioni politiche già da un po’ di tempo, è difficile stabilire in che misura è presente il luogo comune secondo il quale non ci sarebbe più la destra e la sinistra. Tendenzialmente una affermazione del genere la fa chi è di destra, ma non sempre è così.
Infatti, secondo quel senso comune, esisterebbero semplicemente le buone idee che non avrebbero colorature politiche.
Tutto ciò non è che una tappa di un lungo percorso iniziato a cavallo degli anni settanta/ottanta nei quali i cambiamenti profondi della società presero sempre più forma generando una serie di conseguenze politiche, sociali, economiche, quasi antropologiche in ordine al costume italiano.
Un certo mondo si stava sfarinando per arrivare all’ epocale evento della caduta del muro di Berlino e con esso delle ideologie che costituivano l’ ossatura del pensiero dei partiti di sinistra.
Nel Paese del più forte Partito Comunista d’ Occidente, si andavano aggiungendo, sull’onda lunga delle macerie di Berlino, altri eventi che contribuirono ulteriormente a terremotare l’ intero sistema politico.
Il primo è da fare risalire a tangentopoli che frantumò la DC e il PSI. Con la prima veniva silenziata anche la lunga stagione del cattolicesimo sociale e democratico, con il secondo si poneva termine alla storia ultrasecolare di un partito.
Ma non finiva qui, perché si metteva in dubbio anche la cosiddetta diversità comunista rivendicata da Enrico Berlinguer assurta a proposta politica e provando in tal modo a rispondere alla crisi del PCI nata nel periodo successivo a quello della “solidarietà nazionale”.
L’ assassinio di Aldo Moro inficiò significativamente gli effetti positivi di quella esperienza di Governo.
Ma il secondo evento assolutamente inedito per il panorama politico era la comparsa nello stesso della Lega Nord di Umberto Bossi, un movimento nordista, federalista, secessionista, nato e cresciuto nel Lombardo – Veneto tra il rito dell’ ampolla alle sorgenti del Po, il Và pensiero e gli slogan contro Roma ladrona che gli arresti di Mani Pulite li rendevano sempre più incandescenti.
L’ altro successivo avvenimento, prodotto dai primi due, era rappresentato dall’ irruzione nella scena politica di Silvio Berlusconi che causò lo sdoganamento del MSI e l’ abbraccio con la Lega Nord scuotendo nel profondo gli equilibri e le certezze, se si pensa alla pregiudiziale antifascista sulla quale la sinistra aveva costruito nel dopoguerra una parte importante della sua vicenda.
Questo insieme di eventi aveva prodotto i primi germi di quella potente miscela di populismo e di antipolitica che avrebbe tracimato nel decennio successivo.
Quindi, la prima cesura avveniva allora e tutta l’ attenzione della sinistra si concentrava esclusivamente sull’ opposizione a Berlusconi, senza approfondire gli strumenti elaborativi ai fini della costruzione di una nuova rappresentanza politica di una società radicalmente cambiata.
In uno scenario del genere, esplodeva la grande crisi finanziaria del 2007 – 08 che dava la possibilità ai movimenti populisti e sovranisti di affermarsi pescando voti e consensi anche tra chi votava a sinistra.
Non dimentichiamo, inoltre, gli effetti della globalizzazione che avevano scosso pilastri fondamentali.
Il primo era senz’ altro quello economico – sociale sul quale – rivoluzione industriale, classe operaia, capitale e lavoro – la sinistra aveva costruito identità e promosso politiche.
Il mercato diventava, quindi, globale e al capitale produttivo si aggiunge quello finanziario (fare denaro con il denaro). Avveniva un clamoroso rovesciamento di ruoli: i Paesi emergenti diventavano i mercati dei Paesi ieri sottosviluppati e oggi emergenti, ma aumentavano le diseguaglianze, che saranno rese ancora più acute dal diffondersi della pandemia.
Nascevano figure sociali inedite con nuove esigenze di vita e di lavoro che non trovavano nella sinistra una loro rappresentanza.
Gli stessi sindacati confederali vedevano restringersi sempre più i margini di contrattazione, in quanto calava la loro capacità di rappresentanza, così come accadeva per la fitta rete di associazioni, movimenti, corpi intermedi in genere che erano stati insostituibili strumenti di mediazione tra politica e cittadini.
Il risultato di tutto questo era ed è che il cittadino restava e resta solo, chiudendosi in una disperata, solitaria rabbia. Una rabbia che viene raccolta e interpretata, a modo loro, dai populismi di destra e di sinistra riempiendo il vuoto lasciato dalla sinistra che non riesce a smuovere gli animi e a mobilitare le coscienze con la sua tradizionale passione civile, politica e morale e che, invece, deve trovare gli strumenti,le risorse, le coordinate per una navigazione continua nel mare delle continue trasformazioni e dei continui conflitti.
È chiaro che, senza una alternativa convincente, le visioni nazionaliste, populiste che tendono ad ampliare e a capitalizzarle le paure e le rabbie hanno gioco facile.
I fenomeni della globalizzazione, dell’ antipolitica, del populismo, del leaderismo, della dittatura del web le vecchie lenti, le categorie con le quali la sinistra era abituata a leggere e a spiegare gli avvenimenti non bastano più.
Questi cambiamenti di forma e di sostanza, però, non annullano i valori e i principi che appartengono di fatto alla storia della sinistra: il rispetto dei diritti civili e umani, il welfare state, la lotta alle diseguaglianze, la difesa dell’ ambiente, la solidarietà e l’ inclusione.
Infatti, per ogni problema politico, economico, sociale si può scegliere tra soluzioni diverse, e a ben vedere queste possono essere tranquillamente classificate di destra e di sinistra. Come diceva Keynes, “il problema politico è combinare tre cose: l’ efficienza economica, la giustizia sociale e la libertà individuale”. Ecco, la sinistra democratica deve trovare la forza e la capacità di dare le risposte convincenti.
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