Occorre cambiare davvero

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di Vincenzo Vacca.
In questi giorni nella nostra città, si discute molto del documento dei 101, denominato “Ricostituente per Napoli”. Un nutrito gruppo di cittadini, composto da intellettuali, professionisti, persone impegnate nel volontariato, esperti di vario genere. Queste persone, pur non esplicitamente schierate per una parte politica, hanno voluto dare un contributo in termini di idee e proposte per tentare di risollevare dalle disastrose condizioni sociali, economiche, urbanistiche in cui versa la terza città italiana. Senza dubbio è da incoraggiare una partecipazione diffusa alla vita civile e politica napoletana e, quindi, il cennato documento ha dato una scossa al dibattito politico cittadino, soprattutto in vista delle elezioni comunali dell’ anno prossimo. Ma è necessario sgomberare il campo da una serie di equivoci a partire dalla abusata definizione “società civile” che vuole quasi evocare un ceto sociale che, pur essendo mosso da buone intenzioni, verrebbe sistematicamente messo ai margini da un “casta dei partiti”.
In realtà, gli accadimenti politici cittadini, a volerli leggere in profondità, dimostrano che a partire dalla gestione amministrativa del Sindaco Bassolino gli effetti del  crollo del sistema dei partiti ha avuto, naturalmente, una serie di conseguenze anche a Napoli.
Anche qui importanti esponenti della società civile, spesso non napoletani, sono stati cooptati nella amministrazione della città. Il fatto che fossero venute meno tutte le culture politiche che avevano fino alla fine degli anni ottanta permeato, nel bene e nel male, la vita civile e politica del Paese, aveva indotto necessariamente i leader eletti a farsi supportare da soggetti esterni al mondo politico che viveva un sostanziale annullamento.
L’ epifania di questo fenomeno era rappresentata dalla legge che istituiva l’elezione diretta dei Sindaci e che, in quel momento storico, risultava essere una buona soluzione per fare risorgere in qualche modo una politica azzerata sia da tangentopoli che dai sommovimenti mondiali innescati dalla fine della guerra fredda, al punto tale che si era giunti a parlare di “Partito dei Sindaci” da contrapporre ai gruppi dirigenti nazionali dei Partiti sia rispetto a quelli che stavano morendo che rispetto a quelli che nascevano. In questi stessi anni, i Sindaci hanno una significativa valenza nei propri schieramenti politici. Una valenza che nella cosiddetta Prima Repubblica sarebbe stata impensabile, in quanto allora il Sindaco era frutto delle trattative dei Partiti, mentre adesso riceve una investitura diretta dall’elettorato.
I primi anni cittadini di quella svolta epocale avevano dato un volto migliore alla nostra città suscitando, tra l’altro, un forte entusiasmo circa una definitiva emancipazione di Napoli da una secolare arretratezza, arrivando a parlare di un “rinascimento napoletano”. Tutti sappiamo come è andata a finire e personalmente continuo a pensare che le analisi storico/politiche fatte per capire le cause di un insuccesso di quella stagione siano completamente insufficienti, anche le analisi prodotte dai principali protagonisti della vita cittadina di quegli anni.
Non è un aspetto secondario, perché capire quanto più possibile i motivi di quel fallimento aiuterebbe tutti ad affrontare meglio i problemi attuali.
Anche in questo ambito, per vivere efficacemente il presente, occorre conoscere quanto meglio possibile il passato, altrimenti, pur avendo le migliori intenzioni, si rischia di fare gli stessi errori.
E a proposito di errori, a parere di chi scrive, uno è stato proprio quello del rapporto tra Sindaci e società civile.
Una società civile che spesso non è la soluzione, ma parte del problema cittadino.
Non sono certamente il primo a evidenziare che per la natura improduttiva, parassitaria, assistita, della gran parte della borghesia napoletana, la cooptazione della stessa nella amministrazione della città costituisce una sostanziale perpetuazione dei mali endemici. Infatti, il tessuto economico della nostra città non è assolutamente autonomo rispetto ai poteri pubblici, in particolar modo rispetto agli Enti locali.
Prosperano i legami parentali e le logiche particolaristiche che non solo sono cose gravi già di per sé, ma che fanno perdere continuamente una visione di insieme nella gestione della cosa pubblica.
Potrà apparire paradossale, ma lo stesso boom del turismo a Napoli ha incrementato la improduttività della nostra borghesia, incentivando la collaborazione di quest’ ultima con la varie Sindacature per ottenere un impiego, una consulenza, una concessione pubblica.
Tra l’altro, ha diffuso la nefasta idea che per Napoli poteva essere sufficiente per il proprio sviluppo economico la vocazione turistica. Peraltro, una vocazione turistica non certamente favorita dalle scelte, o non scelte, da parte delle Amministrazioni, ad eccezione delle attività poste in essere dall’Assessore Nino Daniele, sacrificato anche lui per le pressioni della “società civile” ovvero, in questo caso, dei centri sociali.
Questo per evidenziare la tesi falsa, ma diffusa, di una sorta di “purezza” della società civile rispetto a quella politica. Non pochi di coloro che ostentano una lontananza dalla politica attiva sono stati parte integrante delle classi dirigenti cittadine in questi ultimi anni. Quindi, ci aspetteremmo almeno delle autocritiche.
Pertanto, ben vengano i contributi da parte di tutti, ma che non vengano presentati alla luce di un segmento della cittadinanza che si ritene aliena da responsabilità per la situazione disastrosa in cui si trova la città.
Invece, occorre recuperare alla dialettica politica una realtà che pure esiste a Napoli, fatta di una borghesia produttiva e non semplicemente assistita.
Ma il nodo di fondo è la dispersione di una sinistra democratica napoletana, alla quale manca ancora la formulazione compiuta di una narrazione politica partenopea che costituisca il punto di partenza per richiamare alla militanza civile e politica larghi strati della popolazione che, invece, si è allontanata da queste tematiche osservando il triste operato dei vari notabili politici.
Occorre una visione realistica di Napoli. Di una sua funzione moderna in un contesto nazionale ed europeo. Bisogna far germogliare idee pregnanti e non sterili polemiche. Polemiche spesso che esprimono solo forme di atavico vittimismo. Un vittimismo che non hai mai prodotto risultati positivi, perché costituito solo da beceri luoghi comuni.
La politica, quella vera, deve recuperare il suo primato, e cioè la sua funzione primaria per la quale è nata: ridurre le diseguaglianze sociali.