Ormai da oltre 25 anni mi occupo di diritto commerciale, prima come studioso poi anche da avvocato, esperto di crisi di impresa.
Sin dall’inizio dei miei studi, ho visto e studiato diverse riforme, tutte dichiarate come necessitate da una crisi, già sopravvenuta e/o prossima; l’ultima riforma è stata da poco rinviata al prossimo anno per effetto dell’attuale Pandemia.
Nel mio paese, l’Italia, si contano diverse migliaia di morti e si susseguono le previsioni negative sulla perdita di p.i.l. (alcune delle quali a doppia cifra), che il necessitato blocco delle attività ha comportato e comporterà.
Tutti noi italiani, siamo in casa, in attesa di poter riprendere le nostre attività. La prima domanda che mi viene spontanea è questa: “ma è davvero arrivata la crisi?”
Quella che per tanti anni ha portato tra i giuristi (soprattutto quelli esperti di diritto commerciale e della crisi di impresa) ad interrogarsi su tanti nuovi istituti e novelle legislative, che si necessitavano? A giudicare dalle divisioni e dalla tutela degli interessi di parte, che tanti interventi palesano, parrebbe di no.
Sento molti autorevoli interventi che criticano questo o quel provvedimento del governo (centrale e/o locale), sul presupposto che tali critiche siano non solo possibili ma anche utili, in questo momento.
A mio sommesso avviso, invece, la “Crisi” è arrivata, sebbene non sotto forma di una guerra mondiale (sarebbe stata la terza, che forse si necessitava per la auspicata Resilienza di alcuni Critici), ma sotto forma di pandemia “mondiale”, senza precedenti.
Confesso che quanto dirò, forse potrebbe andare contro gli interessi di parte di alcuni, ma la mia libertà e la mia volontà di essere utile mi portano verso l’interesse di tutti, con le premesse che qui di seguito precedono.
In piena crisi non ci possono essere divisioni; mi innervosiscono non poco gli interventi di parte, in questo momento poco responsabili e privi di contributo concreto alla collettività ed alla nostra nazione (l’Italia); francamente e con buona pace di tutti (sicuramente più autorevoli dello Scrivente) li ritengo inutili e fuori luogo (anche se nel rispetto delle regole democratiche).
Per mia buona fede preferisco dare per scontato che tutte le persone che, in questo momento, incarnano le Istituzioni, svolgano il loro ruolo nell’interesse di tutti, e non per interessi di parte (la storia dell’Italia, purtroppo ha già visto tante divisioni, che non vanno oggi ripetute e/o reiterate).
Dato per scontato l’avvento della Crisi e lo spirito solidale di tutti, con le mie “libere riflessioni” vorrei che il Cortese Lettore ed in generale tutti noi pensassimo a quali azioni principali, ciascuno di noi e come Italiano, si sentirebbe non solo di consigliare, ma anche poi di intraprendere effettivamente, a chi ha l’onere della decisione per tutti noi (ai vari livelli istituzionale).
E’ noto che gli Italiani sono un popolo di allenatori di calcio… (anche io un po’ lo sono per la mia squadra del cuore); è venuto il momento che ciascuno di noi, invece di criticare, metta il proprio ingegno e le proprie capacità a servizio degli altri e del proprio Paese.
Questo piccolo scritto, senza particolari ambizioni e con il dovuto pudore (derivante dalla circostanza che colui che decide, nelle diverse Istituzioni, lo fa sulla base di elementi cognitivi molto maggiori dei miei), è nella dichiarata intenzione sopra indicata.
Non ritengo che la creazione di gruppi di esperti sia un male in astratto e nell’ottica sopra riferita; anzi, la ritengo una buona pratica e credo che ognuno di noi, laddove fosse stato chiamato a prendere decisioni importanti ed “epocali” per tutti, lo avrebbe fatto, non tanto per evitare responsabilità, ma per mero buon senso (che tutti dovrebbero avere).
Non parlerò della crisi dal punto di vista sanitario, perché quello non mi compete e non potrei dare un contributo, salvo ricordare a me stesso che la nostra carta costituzionale, nel contemperamento degli opposti interessi mette la salute dei cittadini ai primi posti, in caso di contrasto (tra tutele ed esigenze opposte tra interessi diversi e garantiti dalla Carta).
Mi occuperò invece, anche se a grandi e generali linee, del superamento della Crisi, dal punto di vista giuridico – economico e con riferimento ad un aspetto molto particolare che blocca da anni il nostro Paese: la riscossione del credito, con qualche premessa.
All’indomani della seconda guerra mondiale gli Italiani capirono che l’unità degli intenti e lo spirito solidale dovevano prevalere sugli interessi di parte ed avviarono insieme la stagione della rinascita e del boom economico (mettendosi insieme e non dividendosi).
Dinnanzi alle attuali critiche divisive piacerebbe chiedere a tutti i neo-pseudo-esperti-critici, se tali critiche fossero state poste dai rispettivi nonni all’epoca impegnati nella ricostruzione, dove oggi noi saremmo stati prima dell’avvento della Pandemia (e se ciò fosse stato fatto, se noi oggi avremmo potuto dirci cittadini di questo meraviglioso paese).
Si, proprio la generazione che stiamo perdendo, forse e magari al telefono, racconterebbe a ciascuno di noi che all’epoca (nel dopoguerra) nessuno si divideva e tutti si impegnavano “insieme” al meglio per superare la Crisi e ripartire (da quell’intento comune derivò il boom economico e la ripresa).
Ripartire, considerando la “effettiva” “Resilienza”, una pre-condizione e forse la prima nostra esigenza.
Cambiare, non possiamo pensare di poterci permettere di tornare alla situazione ante emergenza sanitaria Covid 19, senza cambiare noi stessi, il nostro modo di lavorare, pensare ed il nostro Paese.
In altre parole, nulla sarà uguale a prima; tutti noi dobbiamo cambiare, senza esitazioni e/o incertezze.
Da Avvocato sento le polemiche da molti colleghi sollevate in riferimento alle modalità di svolgimento delle udienze: “udienza solida” o “udienza liquida”, giovani avvocati contro avvocati anziani, avvocati civilisti contro avvocati penalisti.
In disparte l’orrenda divisiva terminologia “udienza solida” e/o “udienza liquida”, spesa da qualche illustre Collega e che a me, personalmente, forse ricorda il minestrone di verdure che mia madre da piccolo era costretta a passare al setaccio per farmelo mangiare; credo che non è questo il momento per dividersi (soprattutto tra chi è tenuto ad applicare le leggi, ricordando a me stesso [anche se sono passati oltre venti anni], che ho giurato di difendere i miei clienti secondo la legge, non ho giurato di farlo solo sulla base della possibilità di svolgere il mio ruolo in una determinata circostanza di tempo e luogo), soprattutto tra chi è onerato di collegare i cittadini alla Giustizia (noi avvocati); credo che molti di noi debbano recuperare il nobile senso della professione quale prestatore d’opera intellettuale rispettoso delle leggi nell’interesse di tutti e non di mero ricercatore di utili falle delle norme, da sfruttare a vantaggio di interessi di parte.
Partendo dalla possibilità, oggi concessa, di poter autenticare a distanza la firma di un cliente (con tutte le cautele del caso, magari per un cliente consolidato, confidando pure sugli attuali mezzi di comunicazione da remoto), mi viene da chiedere se non si possa affrontare un tema annoso (molto più ambizioso) e cioè, quello della degiurisdizionalizzazione, quanto meno per i diritti c.d. “disponibili”, tra cui in particolare il diritto di credito.
Oggi molti imprenditori, commerciali e non, entrano in profonda crisi in virtù dell’incaglio dei loro crediti; a volte sono costretti a cessioni in blocco a società che comprano crediti, con elevate decurtazioni sulla sorta capitale (questo di solito accade per gli imprenditori più lungimiranti; molti invece avviano la difficoltosa e tortuosa strada del riconoscimento giudiziale del credito e, all’esito, del tentativo di esecuzione), con tutte le intuibili conseguenze sui bilanci delle società.
Ulteriore conseguenza di questa difficoltà dell’accertamento del diritto di credito e, all’esito, della sua messa in esecuzione è che le Banche hanno difficoltà a concedere prestiti e/o ad anticipare crediti su fatture, con tutte le intuibili conseguenze sull’economia reale.
Oggi in Italia abbiamo Tribunali congestionati, tempi non certi, imprese che falliscono benché abbiano magari crediti rilevanti, nei confronti della P.A. e dei debitori privati.
Nei confronti dei crediti che vedono come debitore la P.A., si crede oggi ammontanti ad oltre 12 miliardi di €uro, non vi è dubbio che gli stessi vadano, senza ulteriori orpelli (fattura elettronica o meno), pagati con la relativa iniezione di liquidità immediata per le imprese; di più, anche in vista dell’auspicabile sblocco dei cantieri, va previsto un meccanismo che scongiuri, per il futuro, un accumulo di così ingenti risorse (oggi sottratte all’economia reale).
Passando ai crediti tra privati, e sfruttando il gran numero di avvocati e commercialisti e professionisti sul territorio, viene da chiedersi se non si possa portar fuori dai Tribunali il riconoscimento del rapporto credito-debito tra due soggetti, nonché, magari la relativa esecuzione.
Si tratta certamente di diritti disponibili e, dunque, possibili oggetto di atti di autonomia privata.
Gli istituti della mediazione e della negoziazione, tuttavia, non hanno dato sino ad oggi grandi risultati come meccanismi deflattivi del contenzioso; di sicuro c’è bisogno di più coraggio da parte del legislatore, e viene da chiedersi se l’attuale contingenza non possa essere il motivo per una scelta coraggiosa.
Mi spiego.
Oggi in teoria sarebbe dato ad un avvocato in Italia (siamo circa 250.000) l’opportunità di avviare (da remoto) un procedimento giudiziario (si pensi al classico ricorso per decreto ingiuntivo) per il riconoscimento di un diritto di credito (magari determinante per la permanenza di un’impresa commerciale sul mercato); all’esito della concessione del decreto ingiuntivo (e sono passati diversi mesi), si riceve quasi sempre l’opposizione del debitore (con l’intervento del legale di controparte), con fissazione della prima udienza; in tale prima udienza il magistrato, quasi mai decide sulla provvisoria esecutorietà (benché la legge lo preveda), concedendo alle parti i termini di cui all’art. 183 c.p.c.; all’esito di tali memorie (ed è passato oltre un anno e mezzo di solito), devo dire raramente (e questo spiace dirlo), il Giudice può formulare una proposta transattiva ex art. 185 bis c.p.c., cui le parti hanno facoltà di aderire; in caso di concorde adesione, la transazione giudiziale sino al limite dei 51.645,69 €uro (ex art. 9, comma 9, legge 23 dicembre 1999 n.488) è esente da imposta di registro (con gli intuibili vantaggi per le parti); alla transazione giudiziale, poi, segue la fase della relativa esecuzione, anche questa non senza pericoli e tempi non facilmente comprimibili.
Un Legislatore coraggioso, magari impegnato a contrastare gli effetti di una pandemia, potrebbe pensare a lasciare ai legali delle parti (avvocati regolarmente iscritti all’Albo) il compito di autenticare le firme delle parti in calce ad una transazione (anche scambiata anche via pec per fornirle data certa) che preveda, reciproche concessioni (sulla base di documenti allegati dalle parti, ctp di parte etc), oltre che una “normata fase esecutiva”, cui potrebbe prevedersi l’adesione di un terzo (una Banca, magari quella del debitore, che interviene ex art. 1180 c.c.) anticipando la provvista e concedendo alla parte debitrice, congrua dilazione, a tassi agevolati, e con la garanzia dello Stato (magari di regresso, interessato alla deflazione della Giustizia ed al contenimento dei relativi costi).
Il credito derivante da transazione dovrebbe essere poi esente da imposta di registro, a questo punto (visto lo stato emergenziale) senza limiti di importi, oltre che esser trattato come posta risarcitoria dal punto di vista della sua incidenza sul reddito (cioè in altri termini esente dal calcolo del reddito del creditore).
Con tale meccanismo lo Stato provvederebbe a liberare i Tribunali dalle questioni, spesso pìù ricorrenti, dando spazio all’autonomia privata e sfruttando l’opera intellettuale di migliaia di professionisti, che potrebbero riscoprire il settore stra-giudiziale e della consulenza, a volte non praticato.
La soluzione dello sblocco dei crediti nei confronti della P.A., e di quelli tra privati (nelle modalità sopra indicate e/o in altre ad individuarsi), a mio modo di vedere, rappresenta una “priorità”, ed una esigenza “immediata” che potrebbe anche essere inserita negli odierni DPCM, a ratificarsi dal Parlamento in tempi brevi.
Per i crediti già oggetto di contenziosi sarebbe auspicabile, da parte dei magistrati un più corposo ricorso all’istituto previsto dall’art. 185 bis c.p.c., magari anche da remoto; nulla osta che in questo periodo i magistrati si interroghino su proposte conciliative da fare alle parti, che possano ricevere concreta adesione, con ciò liberando le aule di udienza per processi, di non pronta soluzione.
A tale ipotesi di sblocco dei crediti va collegata un conseguente Riforma fiscale, che estenda i regimi forfettari (esenti da adempimenti ed i.v.a.) per la maggior parte delle attività professionali e/o imprese, stabilendo sopportabili e minime aliquote fiscali, che tengano conto della “nuova” situazione economica
Avrei potuto indicare altre priorità, ma il tenore e la brevità del presente scritto mi consigliano di lasciare la parola ad altri (magari più autorevoli) Lettori, non senza l’auspicio di vedere il contributo di tutti per una effettiva e necessitata Resilienza della nostra amata Italia, che credo non possa attendersi ancora.
Avv. Leone Massa
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