Ieri è stata la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, e nella città di Napoli il Comune ha voluto contribuire alla lotta contro le discriminazioni di sesso organizzando diverse manifestazioni e attività a sostegno della lotta, e inoltre si è deciso di illuminare di rosa il Castel Nuovo nelle serate del 17 e anche 18 maggio.
Approfitto dunque di questa giornata per parlare di Omocauto, ovvero dello sterminio nazista nei confronti degli omosessuali. Si certo, avrei potuto e forse dovuto scegliere di scrivere questo articolo il 27 gennaio, “Giornata della Memoria”, e invece no, voglio parlare oggi delle vittime omosessuali durante la seconda guerra mondiale, perché farlo il 27 gennaio non avrebbe avuto lo stesso risalto, e come successe allora, anche oggi, i migliaia di omosessuali morti nei campi di concentramento a causa delle folli idee naziste sarebbero rimasti nell’ombra, a causa di un pregiudizio omofobico che non apparteneva solo ai nazisti, né allora e né oggi.
Conosciamo tutti la Stella di David di color giallo che gli ebrei erano costretti a cucirsi in petto per essere così facilmente riconosciuti, sia per strada sia nei lager, dai folli nazisti. Ma come sappiamo non tutte le vittime dell’olocausto erano ebree, ma venivano giustiziati, costretti ai lavori forzati e portati nei campi di concentramento anche avversari politici, prigionieri di guerra, disabili eccetera eccetera.
Fra loro vi erano però anche degli individui che si distinguevano dagli altri perché al petto indossavano sul loro pigiama a righe un triangolino color rosa; questi erano quelli con devianze sessuali. E ovviamente non gli veniva riservato un trattamento di favore. Sulla maggior parte di essi venivano eseguiti esperimenti scientifici che inevitabilmente portavano alla morte, la maggior parte dei casi. Addirittura, molti dei prigionieri, per dimostrare di voler guarire, e dunque aver salva la vita, chiedevano loro stessi di essere castrati; perché la castrazione era ovviamente un trattamento riservato solo a loro, il più delle volte gratuito. Insomma, di quella triste pagina di storia facevano parte anche loro, che oltre a subire le torture naziste, dovettero convivere anche con l’isolamento messo in atto da altri prigionieri. Potevano contare solo sul loro stesso appoggio e su quello degli altri triangoli rosa. Questo perché i nazisti, allora come oggi, non erano i soli a credere che il mondo omosessuale fosse un mondo malato, da evitare, da sconfiggere, da ripudiare. Hitler e i suoi complici portarono questi pensieri solo ad un livello più alto, ma in realtà in tanti condividevano e ripeto, condividono tutt’oggi, le stesse idee, e non solo quelle omosessuali… ma non voglio nemmeno usare la parola “idee” perché mi sembra troppo nobile… dunque dirò: condividevano le stesse stron…e!
E oggi come allora sono tanti i ragazzi, le ragazze, adulti, che vivono la loro sessualità nell’ombra, nascondendola alla società in cui viviamo, alla propria famiglia, ai propri amici, perché consapevoli di non essere accettati. Lo stesso fecero gli omosessuali rinchiusi nei lager, che quando furono liberati dagli alleati, non diedero troppe spiegazioni al fatto che indossassero un triangolino rosa in petto. Uscirono da quell’inferno senza dir nulla, ma tornati a casa, molti di loro quello stesso inferno continuarono a viverlo, in modo diverso, ma l’inferno continuò. E oggi continuano a vivere subendo gli stessi pregiudizi. In alcuni paesi sono ancora considerati malati, deviati, e per chi ha la sfortuna di vivere, nascere, in paesi come la Nigeria, l’Iran, il Pakistan e tanti altri ancora, è prevista anche la pena di morte; e non si tratta di una legge che non viene mai eseguita, al contrario.
Viviamo purtroppo in un mondo malato, ma i veri malati non sono di certo coloro che vivono la sessualità non alla maniera “normale”, bensì sono tutti gli altri. Per questo l’omocasuto è uno sterminio mai terminato; agli ebrei è stata data una casa dove poter vivere, ma agli omosessuali quando sarà data la possibilità di poter vivere alla pari, soprattutto con gli stessi diritti, di quelle persone che si definiscono “normali”?
di Francesco Healy
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