Over 75, con almeno cinque patologie croniche e in cura con una media di 7-8 principi attivi diversi. E’ l’identikit del paziente anziano con Fibrillazione atriale considerato fragile perché, oltre ai problemi provocati dalla patologia, è esposto anche al rischio di pericolose interazioni farmacologiche. A mettere a fuoco le problematiche legate alla gestione di questa patologia è il progetto “Osservatorio comorbidità nei grandi anziani con Fibrillazione Atriale”, realizzato dall’Health Web Observatory (centro specializzato nell’analisi del rapporto tra il mondo del web e l’universo della salute) con il supporto incondizionato di Daiichi Sankyo, attraverso due survey: una su un campione di 500 pazienti anziani over 65 con FA e l’altra su un campione di medici composto da 200 cardiologi, 200 internisti/geriatri e 200 medici di medicina generale.
L’Osservatorio si è avvalso del contributo di un Board tecnico scientifico, formato non solo da clinici del settore (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri-Anmco; Società Italiana di Geriatria e Gerontologia-Sigg; Italian Barometer Diabetes Observatory-Ibdo; Società Italiana Medici di Medicina generale-Simg) e ricercatori di area sanitaria (Università di Roma “Tor Vergata), ma anche da rappresentanti dei pazienti (Alice, Cittadinanza attiva) e referenti istituzionali (Ministero della Salute e Aifa).
La comorbidità – “Il 41% delle persone con FA è arrivato alla diagnosi in seguito alle frequenti sensazioni di palpitazioni o di «cuore in gola», che lo hanno condotto a consultare il medico, mentre il 21% è stato invitato dal medico curante a fare un controllo perché a rischio. In media, il tempo intercorso tra il momento in cui si è avuto il sospetto di un’anomalia e la diagnosi è di 1 anno e 2 mesi”, spiega Ketty Vaccaro, presidente di Health Web Observatory. La survey sui pazienti fa emergere molto chiaramente anche la caratteristica che rende questi pazienti così fragili, cioè la comorbidità: “L’81% di chi soffre di FA – prosegue Vaccaro – ha anche altre patologie croniche che impongono al paziente ed alla sua famiglia una gestione quotidiana delle terapie e, in generale, della condizione di salute oggettivamente complessa”.
“Questi pazienti soffrono mediamente di altre tre patologie croniche come scompenso cardiaco, ipertensione, diabete mellito, Bpco e insufficienza renale e non di rado anche altri problemi cardiaci come, per esempio, l’insufficienza mitralica. Negli over 75 poi osserviamo fino a cinque patologie croniche concomitanti con la comparsa di ipertrofia prostatica negli uomini, problemi articolari nelle donne e declino cognitivo in entrambi i sessi”, conferma Raffaele Antonelli Incalzi, presidente S.I.G.G.
Mmg, cardiologo, geriatra – La FA è stata diagnosticata per il 64% dal cardiologo che è anche lo specialista che segue nel tempo l’80% dei pazienti, ma sono coinvolti anche il medico di medicina generale che effettua la diagnosi nel 19% dei casi e poi per i controlli di follow up entra in gioco anche il geriatra. Infatti, nella survey sui medici emerge che, tutti e tre i professionisti affermano di avere in carico per circa il 50% pazienti con FA permanente o cronica. Inoltre, la percentuale di pazienti assistiti di 80 anni e più con FA oscilla dal 43-44% per MMG e cardiologo al 52% per il geriatra. Dunque, la presa in carico di questi pazienti compete sia ai medici di medicina generale che ai cardiologi e ai geriatri. “Per evitare le conseguenze più temibili della FA come, per esempio, l’ictus – dichiara Domenico Gabrielli, presidente A.N.M.C.O – è fondamentale diagnosticarla subito: il Mmg dovrebbe fare da primo filtro e identificare il paziente a rischio richiedendo gli opportuni accertamenti per verificare la diagnosi e inviandolo poi al cardiologo. Il geriatra, dal canto suo, ha una competenza complessiva ed è abituato a fare una valutazione globale delle condizioni del paziente anziano. L’ideale sarebbe un’integrazione tra professionisti”.
Le terapie e le interazioni farmacologiche – La FA viene curata prevalentemente con anticoagulanti (44%) e/o farmaci antiaritmici (35%) e/o antiaggreganti (13%). Di questi il 77% assume i nuovi anticoagulanti e il 16% nuovi farmaci antiaggreganti. Un paziente su tre dichiara di avere difficoltà a ricordare di assumere il farmaco ogni giorno. “Per questi pazienti – sottolinea Incalzi – servirebbe quasi un ragioniere perchè arrivano ad assumere fino a 16-20 compresse al giorno e questo fa aumentare il rischio di interazioni farmacologiche. In effetti, almeno un malato su 4 tra quelli che arrivano in ospedale presentano un’interazione significativa”. Dal canto loro, i medici di medicina generale ribadiscono il ruolo di ‘vigilanti’ sui pazienti over 75: “Il vero regista del percorso assistenziale del paziente anziano comorbido (specie se fragile) – spiega Gerardo Medea, responsabile nazionale Ricerca S.I.M.G – è proprio il suo medico di medicina generale che lo segue da anni e con continuità potendo contare su un archivio di informazioni complete che gli consentono di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle che compongono il suo quadro clinico evitando sia possibili interazioni che un over-treatment sia pur con un approccio multiprofessionale, tipico del nostro setting”.
FA e Covid – La fragilità dei pazienti con FA li ha resi anche più vulnerabili al Coronavirus. Gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità1, evidenziano che questa patologia è stata riscontrata nel 24% dei pazienti deceduti per Covid-19. La sua prevalenza segue solo quella di ipertensione arteriosa (66%), diabete (29%) e malattia coronarica (28%). “La fibrillazione atriale – spiega Incalzi – potrebbe rappresentare un fattore di rischio per Covid-19 perché, come lo scompenso cardiaco, è un importante marker di fragilità e multipatologia. Età avanzata, genere maschile, ipertensione arteriosa, presenza di arteriopatie, ipertrofia del ventricolo sinistro, insufficienza cardiaca diastolica sono tutte condizioni di rischio per fibrillazione atriale2”. Il Covid-19 impatta sui pazienti con FA anche in altro modo: “Bisogna fare attenzione alle possibili interazioni tra le terapie antivirali utilizzate per il Coronavirus e alcuni farmaci anticoagulanti, soprattutto quelli di vecchia generazione perché alcuni di questi farmaci sono potenti inibitori della glicoproteina-P, proteina che ne regola l’assorbimento a livello intestinale accrescendone in modo rilevante l’effetto anticoagulante e favorendo il rischio di emorragie”, avverte Gabrielli.
La gestione ‘olistica’ del paziente con FA – Proprio su comorbidità, politerapia e possibili interazioni farmacologiche si è concentrato il lavoro dell’Osservatorio Fibrillazione atriale secondo cui è diventato necessario passare da una visione sistematica legata alla patologia ad una visione più “olistica” legata al paziente e basata sulla personalizzazione della cura e la capacità di relazione tra specialisti. “Chiediamo che si adotti anche per questi pazienti la valutazione multidimensionale tipica della geriatra che include l’esame complessivo dello stato di salute analizzando nei singoli pazienti le condizioni fisiche, cognitive, affettive, ma anche le altre patologie di cui soffre, la condizione sociale, la capacità di assumere la terapia correttamente ad esempio effettuando uno screening dello stato sensoriale perché possono esserci difetti di vista, udito o dei cosiddetti movimenti fini che, per esempio, rendono difficile dosare bene delle terapie in goccia. In base a tutti questi parametri possiamo ‘tarare’ meglio gli interventi terapeutici”, spiega Incalzi.
La nuova nota 97 – Una novità che potrebbe rappresentare l’inizio di una piccola rivoluzione nel trattamento dei pazienti cronici come quelli affetti da FA arriva dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) che proprio di recente ha reso definitiva la nota 97 con la quale, durante la prima fase di emergenza Covid, è stata data ai medici di medicina generale la possibilità di prescrivere i DOACs (Direct Oral Anticoagulants), – nuovi anti-coagulanti diretti strumenti terapeutici essenziali per la cura di oltre un milione di pazienti per un totale di 445 milioni di Euro di spesa nel 2019 (Rapporto Osmed 2019). “La revisione della Nota 97 è stato un provvedimento d’urgenza, ma la pandemia sta iniziando ad avere una durata più lunga del previsto e comunque per pazienti di questo tipo è necessario fare dei controlli intermedi liberandoli dalla necessità di recarsi in ospedale soltanto per compilare il Piano terapeutico. Ecco perché da metà ottobre la Nota 97 è diventata definitiva”, dichiara Pierluigi Russo, dirigente degli Uffici Valutazioni economiche e Registri di monitoraggio di AIFA che annuncia: “A partire dal 1° dicembre sarà implementata in tutte le regioni anche l’informatizzazione che consentirà una gestione unica sia da parte del medico di medicina generale che degli specialisti”.
La gestione della cronicità – Innovazioni che vengono considerate una sorta di ‘apripista’ nella gestione dei pazienti cronici che sono sempre più numerosi e bisognosi di cure anche perché la pandemia da Covid-19 ha reso gli ospedali sempre meno accessibili. “Con la nuova Nota 97 – prosegue Russo – si pongono le basi concrete per un
ampliamento del coinvolgimento, anche sul piano terapeutico, della medicina generale nella gestione delle malattie croniche. La pandemia ha, infatti, evidenziato che è necessario sviluppare la medicina del territorio, e l’AIFA sta valutando anche altri ambiti terapeutici nei quali ci potrebbero essere dei vantaggi per i pazienti e una semplificazione dei percorsi di prescrizione e cura da parte dei medici. Ciò d’altronde consente anche di alleggerire l’assistenza specialistica all’interno delle strutture sanitarie, permettendogli di focalizzare l’attenzione nella gestione dei pazienti più complessi e/o che richiedono un più stretto controllo terapeutico”. Posizione condivisa da Medea: “Con la nuova Nota 97, abbiamo ridotto la pressione dei pazienti sui Centri per Terapia Anticoagulante e i cardiologi ospedalieri. Stimando una prevalenza della FA del 2% in Italia, a regime con questa innovazione ci saranno quasi un milione di visite in meno all’anno inutilmente dedicate al rinnovo dei Piani Terapeutici oltre al fatto che abbiamo la possibilità di intervenire in modo più precoce ai primi segnali della malattia prima che faccia danni”.