A Palazzo Reale tra i papiri ercolanesi della Biblioteca nazionale di Napoli

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Un patrimonio di oltre 2,5 milioni di documenti che la Biblioteca intitolata a Vittorio Emanuele III conserva, tutela e mette in rete attraverso un’opera di digitalizzazione

Stucchi a bassorilievo bianco e oro alternati alla decorazione pittorica si susseguono nei grandi ambienti che un tempo ospitavano le feste reali. È qui che i Borbone facevano sfoggio della loro grandezza, è qui che oggi trovano cura le raccolte librarie della Biblioteca nazionale di Napoli, terza in Italia dopo le Nazionali centrali di Firenze e Roma.

Un patrimonio sconfinato di oltre 2,5 milioni di documenti che spazia dagli autografi di Giacomo Leopardi ai preziosi papiri ercolanesi, dai fondi dedicati al teatro napoletano ai manoscritti riccamente miniati e che la Biblioteca intitolata a Vittorio Emanuele III non solo conserva e tutela, ma mette in rete attraverso un’opera certosina di digitalizzazione.

La sua storia si intreccia indissolubilmente con quella dei Farnese, potente famiglia che ha influenzato il Rinascimento italiano e che dal ducato di Parma e Piacenza nel 1734 arriva a Napoli con Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta, l’ultima discendente dei Farnese. È a lei che appartiene la raccolta libraria iniziata da un altro Farnese, Alessandro, divenuto poi Papa Paolo III.

“Non è solamente una raccolta tipica di una famiglia di collezionisti, ma è anche una raccolta tipica di personalità di cultura umanistica, quindi di grande contenuto letterario, culturale e scientifico”, spiega all’agenzia Dire la direttrice della Biblioteca nazionale, Maria Iannotti. Il tesoro dei Farnese è ricchissimo di manoscritti. Come La Flora, un codice miniato e decorato che deve il suo nome alla straordinaria presenza di fiori e frutti. “È un’opera d’arte- dice la direttrice- sia per quanto riguarda la legatura che per quanto riguarda le miniature, veramente preziose”.

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I preziosi testi trovano inizialmente ricovero nella Reggia di Capodimonte, ma già nel 1784 inizia un lungo trasloco presso il Palazzo degli Studi. Finalmente il 13 gennaio del 1804 viene inaugurato l’Istituto librario, arricchito nel frattempo sia con i fondi provenienti dalla soppressione degli ordini religiosi, sia con l’acquisizione di collezioni di privati.

Dichiarata Biblioteca nazionale nel 1860, è solo nel 1927 che la Vittorio Emanuele III trova la sua collocazione definitiva nell’ala ovest di Palazzo Reale, nelle ottocentesche sale degli appartamenti usati per le feste. Del resto, la ricerca di nuovi spazi si rende necessaria con gli ulteriori ampliamenti delle raccolte, tra cui diversi fondi, come quello della duchessa d’Aosta che conta, tra l’altro, una collezione di circa 9.800 fotografie databili tra il 1890 e il 1930 appartenuta ad Elena d’Orléans, moglie di Emanuele Filiberto, duca d’Aosta.

E poi i carteggi e gli autografi, come quelli di San Tommaso d’Aquino e di Torquato Tasso. “Ma il nostro fiore all’occhiello è la raccolta degli autografi leopardiani. Sono arrivati a noi perché, come si sa, Leopardi muore a Napoli a casa del suo amico Antonio Ranieri che lo accudisce con la sorella Paolina fino agli ultimi momenti della sua vita. E a lui rimangono i manoscritti. Ranieri lascia alla Biblioteca Nazionale sia la raccolta leopardiana che i suoi autografi”, racconta Iannotti.

Oggi le carte di Leopardi sono state quasi tutte digitalizzate dalla Biblioteca. “È il segno della nostra doppia vocazione, fortemente ancorata alla tutela dei testi, ma decisamente spinta verso il futuro, grazie alla rete e alle nuove tecnologie”, tiene a dire Iannotti.

Ciò che tuttavia rende “unica al mondo” la Nazionale di Napoli è l’Officina dei papiri ercolanesi. “È stata riportata a noi una biblioteca che con l’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo si è conservata sotto strati di lapilli e terreno. Il recupero- spiega la direttrice- avvenne dal 1752 al 1754 e in quell’occasione furono riportati alla luce diversi e numerosi papiri che compongono una biblioteca di filosofia, quasi sicuramente fondata da Filodemo di Gadara, un seguace della Scuola epicurea”.

Fin dal loro ritrovamento, i papiri ercolanesi sono stati oggetto di studio da parte di esperti di tutto il mondo, che a fasi alterne hanno messo a punto metodi sempre più sicuri per il loro svolgimento. I rotoli aperti hanno restituito testi greci di straordinaria importanza, prima tra tutti l’opera cardine di Epicuro ‘Sulla natura’, oltre al corpus delle opere di Filodemo di Gadara, cui si deve la formazione della biblioteca ercolanese.

Il progetto ‘Biblioteche d’Italia’ è un viaggio alla scoperta dei 46 Istituti statali italiani, scrigni di bellezza e custodi di un patrimonio documentario che ammonta a circa 40 milioni di esemplari: https://cultura.gov.it/bibliotecheditalia. Il documentario sulla Biblioteca Statale di Napoli fa parte della serie di reportage promossi dal Ministero della Cultura e disponibili sui canali social istituzionali e sul profilo Instagram @bibliotecheditalia https://www.instagram.com/p/CcnBv71Kwom/.

 

 

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