Le donne nella nostra epoca: perché a volte vogliamo giustificare la banalità del male
Due tizi qualsiasi – che per comodità chiameremo Giorgio e Matteo – si incontrano al bar/allo stadio/in una sala d’aspetto/al supermercato. Matteo fa qualche osservazione, mentre beve una birra o davanti al banco dei formaggi, sulla notizia del mese: i talebani hanno preso Kabul; i diritti civili degli afgani sono stati totalmente schiacciati in nome della legge santa e l’intero equilibrio sullo scacchiera internazionale è compromesso.
Giorgio risponde, mentre ordina un crodino o sceglie la forma di provolone che eh sì sì, ha letto, ha sentito, forse se ci fosse stato ancora Trump non sarebbe successo. Matteo è indignato! Trump? No no, per lui l’occidente ha fatto bene a chiamarsi fuori, non sia mai a qualcuno di quei fondamentalisti venga la malsana idea di farsi esplodere nel reparto salumi, i suoi preferiti. Meglio stare alla larga dalla politica mondiale, in fin dei conti noi italiani di questi giochi di potere non abbiamo mai capito niente.
Hai ragione forse, conviene Giorgio, d’altronde già chissà quanti ne arrivano con quei barconi, a nostra insaputa. Io non sono razzista ma mica possiamo accoglierli tutti eh, soprattutto gli omaccioni grossi e muscolosi che vedo dalle immagini in televisione. Mai che inquadrassero un bambino o una donna oh…
Le donne e i bambini. I bambini e le donne. Le donne e le bambine.
Chissà magari Giorgio e Matteo non hanno un’opinione precisa nemmeno sulle “donne”; troppo ingombranti quando rivendicano i propri diritti tentando di buttare giù la maschera di un Paese che si veste di progressismo e al tempo stesso totalmente invisibili, accessorie; indifese per antonomasia, fragili, deboli e delicate ma estremamente utili quando se ne strumentalizza il ruolo a scapito degli “omaccioni palestrati che invadono i nostri porti”.
Un discorso simile, né più né meno, a quello del comandante in Titanic che imbarcava donne e bambini sulla scialuppe di salvataggio. Le donne e i bambini ricchi. Il resto doveva accontentarsi di morire poeticamente canticchiando ninne nanne e accettando il trapasso quasi con saggezza e serenità; qualità che evidentemente il regista attribuisce ai poveracci.
Giorgio e Matteo sono così angustiati dal non trovare profughe donne nei nostri porti (ma proprio ci perdono il sonno eh) perché non ne hanno mai viste.
Probabilmente non ci hanno mai davvero fatto caso oppure preferiscono arroccarsi pateticamente sulla sproporzione numerica, il che consentirebbe loro di mantenere in piedi l’ ipotesi del “complotto ai danni della patria italiana”.
Eppure le donne ci sono.
Ci sono a Lampedusa, sui gommoni, nei porti, nei campi sotto il sole, in terra straniera, nella loro terra, in fabbrica, in cucina, a casa, in ufficio, a scuola, in palestra, sotto terra, sott’acqua.
Ci sono le donne afgane. Molte delle quali preferirebbero anche essere sotto terra o sott’acqua rispetto a dove si trovano ora.
Davvero? Si chiedono Giorgio e Matteo? E allora invece dove sono le femministe? Cosa fanno le femministe mentre le donne di Kabul vorrebbero essere a Lampedusa, sui gommoni, nei porti, nei campi sotto il sole, in terra straniera, in fabbrica, in cucina, a casa, in ufficio, a scuola e in palestra?
Non dirò che questa domanda è idiota (anche se ehi, forse lo sto dicendo) perché sarebbe un’offesa all’intelligenza di chi legge. E non spiegherò perché questa sia una domanda diversamente intelligente per lo stesso motivo. Mi limiterei semplicemente a far riflettere – se non avessi assolutamente niente da fare, se le mie giornate fossero vuote e tristi e se avessi voglia di provocarmi un’ulcera o una gastrite- ai vari Giorgio e Matteo che se nella carta d’identità, vicino a “biondo” o “celibe” ci fosse scritto “femminista” non è che sarebbe nulla di così strano.
Cosa dovrebbero fare le persone femministe in merito alla situazione afgana, a parte informazione, denuncia, condanna veicolata sulle piattaforme digitali -che ormai hanno sostituito qualsiasi canale di formazione- ?
Riformulo: cosa dovrebbe fare il movimento femminista occidentale, o meglio, quello italiano?
Giochiamo in casa, dai. Contiamo un po’ i nostri femminicidi; andiamo a stanare tutte le bestie che, solo in un anno, si sono rese protagoniste di violenze efferate ai danni delle donne. Tante eh? Di molte vittime magari non sappiamo neanche nulla, non abbiamo notizie.
Se poi riflettiamo un secondo su come in alcune realtà e in alcuni contesti le donne siano anche nemiche delle donne stesse, sempre pronte a schierarsi con chi, nella loro mentalità è sulla carta il sesso forte da non contraddire, e scegliendo sempre di proteggersi senza mai proteggere, direi che siamo a cavallo, senza neanche coinvolgere i talebani. Perlomeno non quelli islamici.
Il “nemico”, quello così lontano da noi per tradizioni e cultura, quello di cui deprechiamo gli atteggiamenti col culo sul divano, quello che uccide ragazzine, lapida adultere, quello che disprezziamo, lo straniero, il diverso, il barbaro…
Barbaro…
Se nessuna Barbara vi ha disturbato, di recente (attenzione! La B è maiuscola) allora forse potete ancora convincervi che va bene. In Italia va tutto bene, stiamo realmente galoppando verso il progresso in groppa al migliore stallone di razza.
In caso contrario converrete con me che forse Matteo e Giorgio sono sufficientemente esasperanti per restare in questo mondo.