Il giorno venerdì 20 gennaio, al PAN di Napoli, è avvenuta la presentazione del libro “Non scavalcare quel muro” (Nulla Die) di Loredana De Vita. Evento moderato dalla giornalista e scrittrice Anna Copertino. Presente anche la dirigente scolastica Angela Procaccini, che per noi di RoadTv ha recensito quest’ultima fatica della scrittrice napoletana.
Angela Procaccini parla di Loredana de Vita su “Non scavalcare quel muro” ed. nulla die
Premessa
Non potevo non essere qui, stasera, per vari motivi che ora cercherò di chiarirvi.
In primo luogo, ho conosciuto Loredana de Vita, ed ho già letto alcuni suoi scritti … leggere è dir poco, perché i suoi scritti vanno metabolizzati ed introiettati. Anzi dico di più. Sono i suoi scritti che leggono te. Difatti, durante la lettura di “Alla scoperta dell’invisibile. Adolescenti alla scoperta di sé”, spesso le parole di Loredana, i suoi approfondimenti, le sue osservazioni mi facevano riflettere su me stessa e sui miei moti segreti, rivelando me a me stessa.
In secondo luogo, Loredana è amica di una mia carissima amica, una Donna “senza macchia e senza paura”, Anna Copertino, giornalista e persona di cultura, ed è stato grazie a lei che ho conosciuto Loredana e ne ho potuto apprezzare la sensibilità.
In terzo luogo, Loredana mi ha seguita durante un’intervista per Road Tivu su mia figlia Simonetta, vittima innocente delle mafie, ed ha saputo accompagnare le mie parole e il mio sentimento come meglio non si sarebbe potuto. Con discrezione e tatto .
Infine, ma non di minore rilievo, Loredana è una Docente vera, una di quelle che si prende cura dei suoi studenti, va oltre la loro scorza talora ispida, per arrivare all’animo e al cuore. E da lì partire per formarne vere persone capaci di logica e di sentire.
Sono questi alcuni motivi salienti della mia presenza qui, stasera.
Anche se il motivo determinante è la scrittura ultima di Loredana De Vita, il suo lavoro, “Non scavalcare quel muro”, quello di cui si parlerà qui.
Vedete, la grandezza di un libro, di un romanzo, la puoi riconoscere nel fatto, che quando lo apri ed inizi a leggerlo, non riesci più a staccartene. Tutto ti dà fastidio, interromperne la lettura, pensare ad altro, dover fare altro … vuoi solo seguire la narrazione, immergerti in quel mondo di fantasmi che diventano parte della tua vita e di cui vuoi seguire le vicende, palpitando, soffrendo o godendo con loro.
Quando Loredana, quasi trepidante, mi ha messo il libro tra le mani, affidandomelo come un figlio, ne ho da subito iniziato la lettura. Da quel momento è stato un vortice. Ogni pausa di relax, ogni attesa, ogni riposo pomeridiano, era la scusa giusta per riprendere la lettura e seguire le vicende dei protagonisti. In alcuni momenti niente altro mi interessava oltre le vicende di Maria e del suo dramma, di Giovanni e della sua protervia, di Luca e Lucia, i fratelli di Maria, e della loro mesta preoccupazione.
Ma procediamo per gradus attraverso la scomposizione di questo libro così particolare.
Corpus
“Non v’è spazio più ampio del dolore,
non v’è universo come quel che sanguina”
Pablo Neruda
Comincio dalla copertina e dal titolo.
Colore dominante della copertina, il grigio, il grigio di un cielo nuvoloso, con cirri avvolgenti e schiariti dal bianco, su cui si staglia netta e decisa una scala che sembra attraversarli per salire verso l’alto. Desiderio di ascesa? Volontà di staccarsi dal resto del mondo? Voglia di purezza o di scoperta? Estremo tentativo di collegamento fra due dimensioni diverse?
Le interpretazioni possono essere tante e credo sia giusto che ciascun lettore interpreti secondo il suo modo di vedere, sulla scorta del misterioso “malentendu” di cui parla Pedro Salinas a proposito della poesia, per cui, appunto, ciascun lettore legge in essa quello che sente congeniale a sé.
Il titolo: “Non scavalcare quel muro”: il muro rappresenta il leitmotiv del romanzo, una barriera, un pericolo, una decisione, un ostacolo, un mistero, una difesa, un’avventura … Sta di fatto che leggendo il libro vi accorgerete di quanto questo peso quasi fisico e concreto del muro inciderà nello sviluppo della psicologia della protagonista e quindi della narrazione.
La struttura narrativa: Mi sembra importante far rilevare una tecnica narrativa che si sviluppa per tutto l’arco della narrazione, dandole fluidità e contemporaneità. Ogni capitolo, come ouverture e come conclusione, presenta una parte che anche graficamente si distingue dal corpo centrale. È un contrappunto che il lettore gradualmente fa suo: un contrappunto e insieme una liaison tra presente e passato, tra storia di oggi e storia di ieri, tra dolore nuovo e dolore antico. Trovo questa strategia narrativa estremamente efficace ed originale, perché tesa a dare il senso del continuum tra due momenti della storia di un dramma familiare.
I personaggi
La protagonista dell’epopea è lei, Maria, ma voglio cominciare con l’analisi di Giovanni.
Sì, Giovanni, tracotante, protervo, traditore, insensibile, l’uomoche condizionerà l’intera vita di Maria, il mas, per definirlo con termine latino. La lingua latina, infatti, estremamente logica, adopera tre vocaboli per indicare l’uomo: homo – inis nel senso di appartenente all’umanità, vir-viri nel senso di uomo degno di ammirazione e di rispetto, e infine mas – maris, nel senso prettamente fisiologico, di maschio. E Giovanni può essere solo un mas, con la sua animalità e la sua protervia. C’è da dire che gli uomini, in genere, hanno una maggiore predisposizione alla carnalità e alla sessualità che forse fa parte della loro essenza. L’uomo di solito non si pone troppi interrogativi e il suo sentire rimane legato spesso alla corporeità. In Giovanni questo aspetto sconfina nella foga animalesca che poco ha di umano: è solo violenza, sopraffazione, delirio di onnipotenza, disgustosa manifestazione di virilità che lascia il lettore interdetto e spesso inorridito. Ma Giovanni, così facendo, mette in luce non solo la sua prepotenza ma anche la sua fragilità e la sua debolezza: un uomo che piange chiedendo amore e che ride diffondendo il suo sperma, che soffre di assurde gelosie e che si vanta di ingannare con la sua capacità manipolativa.
Un uomo che vuole esistere e concentrare la sua essenza nella violenza dell’atto sessuale è uno dei peggiori; e, quindi, provoca solo disgusto.
Certo, se questo fosse stato l’unico rappresentante del genere maschile nel romanzo, Loredana avrebbe fatto una pessima propaganda all’uomo. Perché in lui ha concentrato il peggio del peggio: dall’insensibilità verso le sfumature dell’amore e della donna innamorata alla superficialità dell’affetto paterno; dalla mancanza di fedeltà in campi diversi alla capacità di manipolazione, al sfrontato menefreghismo, alla volgarità nei rapporti sessuali. E ci sarebbe tanto ancora da dire ma non voglio togliere ai lettori il desiderio di scomporre in tutte le sue sfaccettature una personalità direi diabolica. Spero che di uominicosì, “ incapaci di amare ma con la presunzione dell’amore”, ce ne siano pochi, ma so per certo che ci sono. E fanno tanto male.
Ma fortunatamente non c’è solo lui. Ci sono i fratelli di Maria, riservati ma sempre disponibili alla comprensione, silenziosi ma sempre presenti nella solidarietà ala sorella.
Soprattutto, c’è Nick, l’uomo buono dagli occhi chiari. Colui che ridà speranza al genere maschile ed alle donne che sperano e credono nell’uomo.
Nick diventa l’antagonista, come nelle tragedie greche, colui che si oppone al male, colui che intende difendere la giustizia e la verità. Sembra una lotta impari: per questo Nick è il vero eroe: possiede un nucleo caldo di valori e di sentimenti che gli consentiranno di comprendere, capire, amare, difendere. L’eroe del bene contro il “buio maligno, contro l’oscurità del male”.
Così, nel protagonista maschile e nel suo antagonista, si realizza in un certo senso la lotta eterna tra Bene e Male, quella che ha da sempre caratterizzato la storia dell’umanità, incarnata in Caino e Abele, in Giuda e Gesù.
Questa dicotomia ha da sempre affascinato pensatori e filosofi. Fra tutte ricordo la teoria di Theodor Adorno (filosofo e musicologo morto nel 1969), secondo cui gli uomini sarebberoincapaci di essere liberi. Il vero portatore di Bene è colui il quale si impegna a rendere liberi gli uomini, cercando di diffondere tra essi un sentimento di fraternità; l’individuo volto al Male, Giovanni in questo caso, tenta invece di renderli dipendenti dalla sua figura, cercando di lasciarli in quello stato che non gli consente di essere autonomi.
Per Giovanni non c’è speranza né di riscatto né di redenzione. Una mente ottenebrata e chiusa nel buio del male, nel quale vorrebbe avvolgere e coinvolgere anche le creature a lui legate: Maria, Marco e Francesca.
Grande Loredana! sei riuscita attraverso l’uso del linguaggio e la capacità della scrittura a delineare una personalità maligna degna di odio. Anche io, che non so provare odio, in certi momenti ho provato un senso di ribrezzo per quest’uomo, ve lo assicuro …
Passo ora alle creature femminili, in primo luogo alla protagonista Maria.
Per capire Maria e la complessità del personaggio ci vorrebbero fiumi di parole. Sarà certamente riduttivo ogni commento. Straordinario è che non ci sia alcuna descrizione a priori di Maria, né fisica né psicologica. Poi, nello scorrere dei capitoli e dei fatti narrati, Maria prende forma in tutti i sensi. Come un blocco di marmo bianco cui la perizia e l’arte dello scultore danno vita e voce. Così impariamo a conoscerla un po’ alla volta questa donna che da fanciulla determinata e sensibile acquisterà la conoscenza della vita e del male della vita. Una donna che possiede “ il vuoto freddo e ardente, la solitudine piena di fiamme”, per usare un’espressione forte di Neruda.
Questo libro, nel suo tutto che è un fluire di sensazioni ed esperienze, mi ha fatto pensare da subito ad una scrittrice che amo molto, Isabel Allende. Anche Isabel, come Loredana, scavando in fondo alla memoria si spoglia lentamente di tutto a arriva alla fine nuda. Loredana ha frugato nel passato ed ha imprigionato nei caratteri una versione immutabile di donna.
La memoria è soggettiva come l’immaginazione. Dove termina la prima e comincia la seconda?
A me sembra che nelle pagine di “Non scavalcare quel muro” ci siano lacrime e sangue; non so, perché non voglio indagare, quale sia il substrato della storia, gli agganci al reale, la memoria che ne è base, ma sento che c’è davvero tanta sofferenza.
Maria è creatura tutta particolare, tormentata dalla sua determinazione, dalla volontà di non deludere il marito intemperante, dal bisogno sofferente di non lasciar trapelare le angustie interne alla famiglia. Maria è creatura d’amore e sofferenza, di dignità e tenacia. Maria è desiderio di vita e pensiero di morte, anelito di speranza e spasimo di dolore. Maria è donna, figlia, moglie, ma soprattutto madre. E come tale, è portatrice di forza e di resilienza. C’è in lei qualcosa che supera ogni male e ogni umiliazione, ed è l’amore materno. Anche quando nei confronti con la figlia Francesca, Maria sembrerà essere dura e severa, durezza e severità sono frutto di profondo amore per la figlia cui vuole evitare i danni che lei ha subito a causa di un uomo.
Questo Francesca lo capirà dopo …
Lo capirà quando il colloquio/soliloquio spezzato da ricordi e da dolore con la madre appena morta, accompagnerà la memoria del passato. Lo capirà quando la lettera testimonianza squarcerà il velo del mistero … e la scoperta della verità sarà insostenibile.
Il tempo allora la lascerà sola. Rimarrà così senza nessuno, perché la madre, Maria, era tutto, rimarrà così vuota che le foglie piangeranno, le ultime foglie che cadranno come lacrime…
E rimarrà il muro, quel muro che Maria ha scavalcato e Francesca non riuscirà a scavalcare …
di Angela Procaccini