Paolo Borsellino non si è suicidato

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Lady in the city
Rubrica di Eliana Iuorio
Paolo Borsellino, il magistrato che per primo indagò sulla strage di Capaci e la morte dell’amico-collega Giovanni Falcone, è stato ucciso dallo Stato.
Non quello in cui tutti crediamo, bene inteso; ma quei pezzi di esso che hanno deviato il proprio corso, che con la mafia erano scesi a compromessi.
Quegli “accordi” che Borsellino incredulo, disgustato e sgomento, scoprì essere in corso ed ai quali si è opposto con tutta la sua forza.
Una voce scomoda. Un uomo, scomodo, che aveva osato ostacolare i piani ben orchestrati da un clan spaventoso, costituito da politici, pezzi delle Istituzioni e mafiosi della peggior specie.

“Facciamolo saltare in aria” – così, avranno pensato, per cucirgli la bocca.

Non posso scrivere, di Paolo Borsellino. Non posso farlo, dopo che tanti, più grandi hanno scritto, prima di me; non posso tradurre in parole, quel che mi tormenta l’anima, da venti anni a questa parte.
A Palermo, mi sentivo quasi paralizzata, dalla rabbia. Fino a scoppiare in lacrime, di notte, in albergo, quando nessuno poteva ascoltarmi.
Con Anna (Copertino), poi, quelle lacrime hanno toccato il pavimento del Palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano, mentre intervistavamo il Sostituto Procuratore Antonino Di Matteo.
Ricordo Anna singhiozzare, dietro la videocamera, nell’ascoltare le risposte di quell’uomo deciso e sereno al contempo; per me che gli ponevo le domande, da avvocato che ama il Diritto e continua imperterrita a credere nella Giustizia, è stato difficile guardarlo negli occhi e trattenere le lacrime.
Ero a Palermo, nel Palazzo di Giustizia che aveva visto Falcone e Borsellino muovere i propri passi.. io, che iscrivendomi alla Facoltà di Giurisprudenza, dopo quelle stragi, avevo fatto una promessa che sto cercando di mantenere con tutte le forze…

Oggi, dopo quelle emozioni di luglio, vissute strette al Movimento delle Agende Rosse, è arrivato il tempo della riflessione.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, “censurato” dal Csm, per i suoi toni accesi, nel ricordare l’amico Paolo, sul palco allestito il 19 luglio, in via D’Amelio; Antonio Ingroia, Procuratore Aggiunto della Repubblica di Palermo, volerà in Guatemala per un incarico all’ONU; il Csm, che interviene ancora, questa volta nei confronti del Dott. Di Matteo e del Procuratore Capo della Repubblica di Palermo, Messineo.
Mentre tutto questo accade – perchè non è un film, ma pura realtà – il Paese sonnecchia, sulle sdraio, nelle migliori località balneari.
Cittadini ignari, perchè nessuno li informa.
Che ogni testata giornalistica abbia la propria linea editoriale da rispettare, è un fatto. Ma nascondere notizie di così grave importanza, mi sembra una circostanza non solo strana, ma assolutamente, decisamente, certamente omertosa.
Tra poco tempo si andrà a processo. E non perchè Pinco ha rubato le caramelle a Pallino, no.
Perchè il nostro Stato è sotto accusa; perchè i pubblici ministeri di Palermo hanno formulato una teoria argomentata, con tanto di prove, per giungere ad una verità giudiziaria sulla esistenza della trattativa Stato – mafia e sullo stesso accertamento dei mandanti della strage di via D’Amelio.
C’è chi – tra storici, consiglieri del Csm, stessi giornalisti – tiene a distinguere tra verità giornalistiche e verità giudiziarie.
Dev’essere qualcuno che si interessa al tema tanto da apprendere notizie sul web, da acquistare saggi o da leggere quotidianamente “il Fatto”, che altrimenti non potrei spiegarmelo.
I più importanti quotidiani nazionali snobbano la stessa parola “trattativa”. La temono, come fosse peste bubbonica.
Quindi, beati coloro che s’interessano così tanto, da riuscire a seguire con gran sacrificio le vicende intorno a quello che non è solo l’argomento più scottante della storia del nostro Paese, ma che – nella pratica – la sua “definizione giudiziaria”, porterebbe a stravolgere e compromettere lo stesso concetto e la stessa esistenza dello Stato così come oggi lo intendiamo, da libri di scuola.
E’ grottesco, che di tutto questo, gli italiani non debbano saperne alcunchè; debbano essere tenuti lontani, grazie al “panem et circenses” o le distrazioni sulla crisi economica, lo spread ed altro.
In una discussione con un’amica, su questioni di politica internazionale con riferimento a paesi in conflitto o dove la libertà e la democrazia costituivano soltanto un sogno, ne concludemmo, a metà tra il sarcastico e l’amaro – pochi giorni fa – con un “almeno dalle nostre parti non si spara in strada”.
Poi ci guardammo. “E no. Si spara, si fa saltare in aria, si delegittima chi si oppone al sistema. E questa, si chiama mafia”

La verità giudiziaria necessiterà di un processo che dovrà superare tre gradi di giudizio, per essere decretata come tale.
Sarà un percorso duro. E il risultato farà discutere, in ogni caso.
C’è chi dice che non giungerà, che chi ha interesse alla stabilità del Paese manovrerà le cose, in modo da evitare “scossoni” a chi ancora oggi si guarda allo specchio al mattino senza provare alcun rimorso.
A chi ha interesse alla sua poltrona o al suo giro di affari e connivenze.
A chi ha interesse a muovere i fili dei tanti burattini che fingono anch’essi, senza alcuna dignità, per coprire le spalle ai propri burattinai.
A chi porta con sè il carico di tante vittime innocenti.
A chi pensava di uccidere Paolo Borsellino.

Ma oggi, di Paolo, ce ne sono tanti. Tutti con lo stesso sguardo e la stessa determinazione.
Mi riferisco ai Magistrati di Palermo, che tutti noi cittadini dobbiamo sostenere, anche firmando il documento de il Fatto Quotidiano
Ed a tutti quegli uomini e quelle donne oneste e giuste, che credono ancora, “fino alla fine della propria vita”, in quello Stato consegnato a noi ancora