
Nell’antichità i Giochi Olimpici servivano a fermare le guerra, e anche quando Pierre de Coubertin decise di fondarli, non dovevano essere solo un evento sportivo, ma un mezzo per promuovere la pace nel mondo.
Certo il contesto internazionale odierno potrebbe far parlare delle Olimpiadi di Parigi 2024 come di giochi di pace ma in un tempo di guerra. Un‘edizione segnata da un quadro di forti divisioni e tensioni geopolitiche, tra i 28 conflitti drammatici in corso secondo l’ONU (Ucraina, Gaza, Medioriente, Yemen, Myanmar) e tanti altri purtroppo dimenticati, caratterizzati da centinaia di migliaia di vittime innocenti.
Il contesto geopolitico è particolarmente turbolento e imprevedibile anche a livello globale, con crescenti e pericolose rivalità tra grandi potenze, le tante instabilità politiche nazionali (con elezioni in India, Unione Europea, Francia, Inghilterra, con relativi vuoti di leadership e iniziativa politica), con l’incertezza della campagna per le elezioni presidenziali americane di novembre.
In questi giorni la Francia – Paese già segnato in quest’ultimo decennio dalla lunga scia di attentati jihadisti e che conta le comunità musulmana ed ebraica più folta d’Europa – vede l’edizione probabilmente più blindata e con le più imponenti misure di sicurezza dei giochi olimpici: cecchini teste di cuoio e reparti speciali in assetto di guerra, decine di migliaia di agenti di polizia, militari, gendarmi e vigili del fuoco, oltre a migliaia di specialisti dell’antiterrorismo, con molteplici disagi per la cittadinanza e polemiche sull’allontanamento di senzatetto e migranti.
Un quadro cupo di guerra che deve necessariamente fare i conti con conflitti, tensioni e ingiustizie su scala mondiale, in cui non c’è spazio per la “tregua olimpica” – la cessazione temporanea dei conflitti durante i giochi che risale al 776 a.c. in Grecia – poche volte rispettata nella storia (e mai rispettata in età moderna), eppure ripresa dalla risoluzione non vincolante dell’ONU del 1993, che invita Stati e atleti alla sospensione dei conflitti.
Mai come oggi il messaggio di pace sembra incompreso e irrealizzato.
Eppure proprio a partire da questa situazione di guerre e tensioni che generano paura, “i giochi olimpici, – come dice Thomas Bach, Presidente del Comitato olimpico internazionale – sono l’unico evento che riunisce il mondo intero in una competizione pacifica”. Lo sport, a partire dalla Ekecheiria degli antichi Giochi in Grecia, può essere una speranza di pace per uomini e donne stanchi di vivere tempi difficili di solitudine, violenza ed aggressività, desiderosi invece di vivere un “noi”, qualcosa che unisca.
Papa Francesco, nel suo messaggio in occasione di Parigi 2024 ha detto – cogliendo l’aspetto cruciale della guerra e della questione della pace che sta alla radice del rapporto tra sport e politica internazionale: “In questo periodo turbolento, in cui la pace mondiale è seriamente minacciata, i Giochi Olimpici sono, per natura, portatori di pace e non di guerra».
Le Olimpiadi, attraverso il linguaggio universalmente popolare e comprensibile del dialogo sportivo, possono cioè essere un’opportunità di speranza per costruire – insieme – la pace, per risolvere i conflitti, per ritornare alla concordia. In una parola la possibilità di unire pacificamente persone di culture diverse e di costruire un’umanità più fraterna.
Conservano inoltre ancora oggi la loro capacità di poter rappresentare e raccontare quante più porzioni e angoli di mondo possibili, le nazioni più diverse, conosciute e non.
Significativa in proposito a Parigi, in un tempo buio per l’umanità, la partecipazione in gara di ben 36 atleti del Team olimpico dei rifugiati (nato nel 2015 e che rappresenta una crescente popolazione mondiale di ben 114 milioni di persone), segno di un mondo inclusivo da costruire e di un patto globale tra nazioni per porre fine ai conflitti in corso.