Pazzi e napoletani a Berlino. Il muco di Berlino. Espettorazioni sulla realtà italiana dalla capitale tedesca
Quando vivi all’estero, per almeno i primi due anni non puoi fare a meno di convivere ventiquattro ore al giorno con questi due avverbi di luogo. Qui e là, i paragoni si sprecano. Se poi vivi a Berlino e vieni da Chang Mai, Manila o Napoli, facciamo pure per i primi cinque anni, va’. (Vedi Napoli e poi muo…viti. Napoletani a Berlino)
Oggi per esempio, mentre prendevo atto della mia incapacità di riscaldarmi una tortilla con pollo e pomodori senza trasformarla in un enorme cracker bruciacchiato al gusto di “machimel’hafattofaredirisponderesuskype“, pensavo ai pazzi di qui e ai pazzi di là. Badate bene che non sto teorizzando una differenza comportamentale tra i pazzi al di sopra e quelli al di sotto del Brennero. Non la sto teorizzando perché mi basta la pratica quotidiana per capire che questa differenza è un dato di fatto incontestabile.
Dice: ma il pazzo è pazzo ovunque. Anche in Italia bofonchia sempre qualcosa da solo, a volte urla, è vestito male. Spesso è trasandato, sporco, vota PD… (intendo il Partito Dementocratico, bleiben Sie ruhig, bitte). E invece no. Ho come l’impressione che qui a Berlino il pazzo faccia il pazzo. Cioè, lo è fino al midollo come i suoi colleghi italiani, ma poi siccome qui è tutto ordinato, catalogato, schedato, tesserato, egli si deve guadagnare la sua collocazione ben precisa.
In pratica, se sulla U9 c’è già quello che parla in una lattina di birra come se fosse un walkie-talkie, il suo omologo vestito in modo impeccabile come un manichino sul Ku’damm, che al telefono urla “one two three, Berliner strasse, Anrumer strasse, one two three” ogni cinque secondi, alla prima stazione cambierà linea della metro.
Lui lo sa, che due pazzi “telefonici” sulla stessa vettura non vanno bene. Sarà anche pazzo, ma è un pazzo tedesco e non ignora il secondo principio della termodinamica. Lui lo percepisce, che deve tenere basso l’equilibrio entropico dell’universo e andare a fare il pazzo da un’altra parte. Ed è proprio scrivendo questa cazzata che ho carbonizzato la seconda tortilla pollo e pomodori. Merda.
In ogni caso, a Berlino la domanda giusta è “che pazzo vuoi?“. Qui ne abbiamo a carriolate. Tanta limatura di ferro fuori di testa attirata dalla grande calamita al centro del Brandeburgo, e non basterebbe una Treccani della follia per farceli entrare tutti. Quando abitavo a Wedding, i miei idoli erano “nostra signora delle foglie” e “Gesù Cristo tacco 12”.
La prima, di pazzia fa la raccoglitrice di foglie lungo il marciapiede ovest di Prinzenallee, trascinandosi in ciabatte e vestaglia in qualsiasi condizione atmosferica. Come dicevo, la pazzia qui è una professione e io questa vecchina l’ho incrociata per mesi, ogni giorno alla stessa ora. Che ci potevi rimettere a posto l’orologio.Stesso punto, stessa scopetta corta. Stesse buste di plastica nera dove raccogliere le foglie che si infilano tra il cordolo di cemento, le ruote delle auto parcheggiate e gli imperturbabili mangiatori di pistacchi turchi in tuta sintetica Adidas, a guardia delle loro innumerevoli sale da gioco Automatencasino. Che fine facessero quelle foglie, mai saputo.
“Gesù Cristo tacco 12” invece, se fosse sul vostro schermo del computer potrebbe essere un tipico scontornamento di Photoshop. Anziano, barba e capelli lunghi e grigi, fino alla cintura sembra un distinto uomo maturo che passeggia tra le bancarelle di frutta e verdura di Prinzenallee lato est, salutando tutti con ampi gesti della mano. Forse in certi giorni la sua camicia ha uno stile che propende un filo verso “capo della mafia russa” ma tutto sommato, niente che attiri troppo l’attenzione. Ma non commettete l’errore di guardare sotto la cintura, perché la sua gonna fantasia e il tacco a spillo saranno lì a fissarvi con aria disinvolta, procurando l’immediata risalita della vostra colazione fino alla bocca dello stomaco.
Tschuess dal vostro Khan Akis
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