Provando a liberarci da quella gabbia ideologica propinataci per anni sull’impossibilità di un’Europa alternativa a quella prospettataci dall’euro, dall’attuale e destabilizzante modello di integrazione europea (di cui abbiamo già accennato in articoli precedenti), cerchiamo di spingerci a pensare concretamente come finalmente ripensare l’integrazione europea a partire dall’esperienza avuta della Questione meridionale.
Unire, integrare, identificare, l’Europa costruendo una coscienza europea
In nostro aiuto chiameremo due opere in particolare: Il proletariato esterno di Nicola Zitara (1972), Il Tramonto dell’euro. Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa (2012). Questi due volumi pur partendo da tradizioni e metodi analitici differenti muovono verso una comune convinzione, ovvero quella secondo cui per unire l’Europa e le sue macroregioni bisogna ripartire da fondamentali politici.
Noi abbiamo pensato di esprimere e sintetizzare questi fondamentali in un’unica formula significante e cioè quella seguente: unire l’Italia unendo l’Europa e viceversa; ma cosa vogliamo dire con ciò e perché parlare di una svolta politica per l’integrazione europea a partire da quella italiana e dalla sua Questione meridionale?
C’è un’Europa ma non ancora un popolo e una costituzione che la unisca e la tuteli
L’attualità europea, la sua crisi, non è meramente economica e sociale, ma primariamente politica, una crisi di identità. È per una crisi delle identità nazionali che, ad un certo punto, in Europa si è pensato di costruire una entità transnazionale, comunitaria; è per una crisi politica, di identità, che l’attuale modello di integrazione europea è fallito, lasciando mano libera ai mercati; è perché manca un soggetto politico volto all’emancipazione storica e programmatica che l’Europa dell’euro disintegra ciò che dovrebbe integrare; è perché abbiamo sostituito il politico con un regime tecnocratico del potere che oggi non esiste ancora una cittadinanza europea, e soltanto un’area valutaria ottimale.
Zitara e Bagnai ripensano l’Europa dai lavoratori
Per uscire dalla crisi economica e sociale bisogna capire prima di tutto quale tipo di Europa vogliamo realizzare e, soprattutto, chi può guidare, egemonizzare, l’emancipazione di un progetto storico del genere. Risparmiando al lettore i lunghi passaggi interpretativi dei tre testi, diciamo che l’attuale modello di integrazione europea ha ricalcato (e prosegue a farlo) lo stesso modello impiegato nell’incompleta unificazione italiana e con la (dis)integrazione politica, economica e sociale, del Mezzogiorno.
La Questione meridionale ci insegna a capire il fallimento dell’Europa dell’euro
Provando a spiegare sinteticamente come sono andate le cose in 150 di unità italiana, diciamo che essa rimane fragile e per nulla consolidata a causa del fatto che in origine essa non si è costruita su una maturità politica, su reali e condivise condizioni sociali di emancipazione. L’unificazione della penisola italiana, a cavallo del Risorgimento, è stata più che altro una conquista regia, la conquista coloniale da parte di una macroarea settentrionale, più o meno omogenea, nei confronti di un’altra meridionale.
Dalla unificazione della Penisola è nata la cosiddetta Questione meridionale, la quale non era un problema preesistente, anzi, ma una realtà indotta solo dalla conquista militare, dal saccheggio dei capitali, dagli esproprio e dalla delocalizzazione delle imprese agricole e industriali del fu sovrano Regno delle Due Sicilie. L’unificazione italiana è stata effettuata a totale vantaggio del Nord, in favore di un capitalismo accresciutosi trasformando il Mezzogiorno in un’area di consumo per i suoi prodotti, che in maniera monopolistica e mercantilistica ha distrutto le condizioni di possibilità per una rivoluzione industriale nel Mezzogiorno e per la costruzione di un tessuto produttivo autonomo, autosufficiente, stabile e diffuso.
Sull’esaurimento dei capitali accumulati da decenni di sviluppo agricolo e di industria leggera nel Mezzogiorno, il Nord ha più che altro disintegrato le allora esistenti condizioni per una completa integrazione tra macroregioni italiane. Come avviene nell’Europa dell’euro, nell’Italia unitaria il Mezzogiorno è passato ad essere da una realtà produttiva dalle ambizioni industriali a una macroregione priva di una produzione agricola autosufficiente, un’area priva di una propria industria leggera in cui investire le rendite fondiarie accumulate nei secoli passati, un’Italia mancante di piena, stabile e diffusa, occupazione e di una borghesia autonoma e matura capace di assurgere al suo ruolo storico.
Il debito indotto disintegra l’Europa a vantaggio della Tecnocrazia
L’imperialismo Tosco-padano ha fatto del Mezzogiorno un mercato per il facile consumo di beni prodotti dal Nord, ma ciò ha indotto un’economia del debito che a lungo andare, senza stabili e diffuse forze produttive, non ha avuto grandi esiti rivoluzionari solo grazie ai grandi fenomeni migratori verso il Nord Italia, il Nord Europa, il Nord America e l’Australia. Il dissanguamento migratorio sradicò milioni di meridionali, distrusse l’ideale contadino, le tradizioni, la cultura, l’appartenenza meridionale e la spoliticizzazione delle masse.
L’asservimento e il parassitismo della classe dirigente meridionale, fatta di una piccola borghesia improduttiva e di agrari in declino, una plebeizzazione dilagante delle masse lavoratrici, la trasformazione della politica meridionale da lotta per il riconoscimento e l’emancipazione dei soggetti collettivi a clientelismo e assistenzialismo cronico, sono i più spietati e gravosi riscontri storici della conquista imperialista del Sud.
L’euro ha creato varie Questioni meridionali europee
Nell’Europa dell’euro è accaduto, e sta accadendo, proprio tutto quello che è già avvenuto in Italia, dove questa volta però sono il Portogallo, la Grecia, la Spagna, la Francia, l’Italia, a fare la fine di Sud colonizzati e indebitati, a totale vantaggio del Centro-nord comunitario. Per salvare l’Europa bisogna ripartire da un’integrazione effettiva delle macroaree europee (solo grazie all’euro così indebitate), che in autonomia e cooperativamente gettino le basi di uno sviluppo allineato.
Per ripartire a costruire l’Europa lo si dovrà fare a partire da un popolo europeo, da un cammino condiviso e programmatico, dove, ad esempio, i lavoratori possano emanciparsi dall’indebitamento, dal sottosviluppo e dall’arretramento indotto. Ristrutturare l’Europa del lavoro, dell’ospitalità, della Fiscalità, comune, su una spinta dal basso, è la chiave per risolvere le Questioni meridionali europee e per mettere a guinzaglio la tecnocrazia di Bruxelles, al soldo del capitalismo tedesco e nord-europeo.