Cambia il Governo, resta un prefetto alla guida del Viminale. A Luciana Lamorgese succede Matteo Piantedosi, da due anni a capo dell’Ufficio territoriale di Governo di Roma.
Napoletano, 59 anni, sposato con due figlie, laureato in Giurisprudenza, nel suo curriculum spicca il periodo da capo di Gabinetto dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, dal giugno 2018 al settembre 2019. Con l’arrivo della ‘collega’ Lamorgese, ha continuato a ricoprire quel ruolo al suo fianco fino all’agosto del 2020, quando è stato nominato prefetto di Roma. Da uomo di fiducia di Salvini, Piantedosi diventa ministro del Governo Meloni in quota Lega.
Con il leader del Carroccio il nuovo capo del Viminale ha gestito la complessa macchina del ministero nella stagione dei ‘porti chiusi’ e dei decreti sicurezza. A lui il compito di tradurre in provvedimenti ‘sostenibili’ le linee guida improntate al pugno di ferro in materia di flussi migratori.
Proprio insieme a Salvini, il prefetto è finito nel registro indagati della procura di Agrigento per i reati di sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio in riferimento al caso Diciotti, la nave della Guardia Costiera cui non fu concesso di sbarcare i migranti soccorsi nell’agosto 2018.
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Il seguito della vicenda processuale ha visto il capo di Gabinetto escluso dagli indagati e, per quanto riguarda Salvini, il Senato ha votato contro l’autorizzazione a procedere chiesta dai magistrati. Bologna è un crocevia importante nella carriera di Piantedosi, Lì inizia, nel 1989, la sua carriera in prefettura, dove per 8 anni svolge l’incarico di capo di Gabinetto.
Nel febbraio 2007 diventa viceprefetto vicario fino al 2009, quando viene chiamato al ministero dell’Interno a dirigere l’Ufficio relazioni parlamentari. Nel 2011 diventa prefetto, Lodi la prima sede. Torna a Roma già nel gennaio 2012, come vicecapo di Gabinetto di un altro ministro dell’Interno leghista, Roberto Maroni. A novembre dello stesso anno, nuova nomina: vicecapo del Polizia.
Tra il 2017 ed il 2018 è ancora a Bologna, questa volta da prefetto, prima di essere richiamato da Salvini al Viminale nel giugno del 2018. Dopo la parentesi da prefetto di Roma, torna al Palazzo dell’Interno, questa volta da ministro.
Napoletano, classe ’62, una formazione da giurista e una carriera tutta nel giornalismo, inviato di economia e politica internazionale e poi direttore, dal 2018 al timone del Tg2 Rai, Gennaro Sangiuliano, da oggi ministro della cultura nel governo Meloni, è da sempre dichiaratamente schierato e impegnato a destra.
“La tradizione del giornalismo italiano è politica. Ed è certamente più onesta una faziosità limpida ed esibita di una subdola terzietà”, spiegava qualche anno fa in un’intervista al Foglio, rivendicando al contempo l’equilibrio politico sempre mantenuto dal suo tg: “Basta vedere i dati dell’Osservatorio di Pavia. E questo perché sto attento al minutaggio, sono maniacalmente attento che ci siano tutte le voci”.
Nell’aprile del 2022 diventò un caso la sua partecipazione con un intervento sul conservatorismo alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Milano. Laureato in giurisprudenza alla Federico II, un dottorato in Diritto ed economia, sempre a Napoli, e poi un master in diritto privato europeo alla Luiss di Roma dove ha avuto come professore Giuseppe Conte, docente alla Lumsa, alla Sapienza e alla Luiss, dal 1996 al 2001 è stato direttore del quotidiano Roma e poi vicedirettore di Libero. Entrato in Rai nel 2003 è stato inviato in Bosnia, Kosovo e in Afghanistan. Dal 2009 al 2018 è stato vicedirettore del Tg1.
Nel 2018 è stato nominato direttore del Tg2, riconfermato nel 2021. Autore di numerosi saggi, si è dedicato soprattutto alle biografie, da quella di Giuseppe Prezzolini (l’anarchico conservatore, 2008) a quella di Putin. (Vita di uno zar, 2015), ma anche Hillary Clinton (Vita in una dynasty americana 2016), Trump (Vita di un presidente contro tutti 2017) e Xi Jinping (Il nuovo Mao. Xi Jinping e l’ascesa al potere nella Cina di oggi, 2019). L’ultimo, nel 2021, è dedicato a “Reagan Il presidente che cambiò la politica americana”.
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