Carta dei diritti web: strumento di libertà o di tecnocrazia?

La Carta dei diritti web rischia di diventare una operazione sospetta. Dietro di essa sembrano esserci i grillini, i montiani, il PD, tutti soggetti in evidenti conflitti di interesse.

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Successivamente al nostro primo articolo prosegue l’attenzione della nostra testata nei confronti delle operazioni parlamentari in merito a una giuridificazione dello spazio elettronico del web e per una Carta dei Diritti dell’utente e del cittadino del web. Dubbi e perplessità avevamo posto in evidenza, per quanto le motivazioni generali ufficiali potevano essere condivisibili.

Per il 13 ottobre è fissata la consultazione ufficiale dei parlamentari europei a Roma in merito all’approvazione della bozza di legge promossa con il patrocinio del presidente della Camera Boldrini, ma sin da adesso abbiamo informazioni più chiare su come e su cosa si svolgeranno le riunioni. Il 13 ottobre dovrà essere discussa, votata online, emendata e infine adottata dal parlamento italiano. Ecco la prima cosa che non convince, come non convinse l’operazione di votazioni grilline in seguito alle quali un’accozzaglia di individui di qualsiasi opinione fu candidata alle elezioni europee; che validità può avere una votazione online, cosa può scavalcare un referendum vecchia maniera?

In base alle prime pubblicazioni stenografiche della Camera la bozza prevederà una regolamentazione minima degli usi e costumi con cui singoli, associazioni, imprese, istituzioni, governi, utilizzano l’interlink. La commissione parlamentare per elaborare la bozza è affiancata da un pull di esperti in affari tecnologici; ma chi sono questi esperti? Quale è la loro storia e formazione? Quali sono le motivazioni che li hanno spinti a collaborare con il Parlamento? Da chi sono composte le consultazioni, chi sono i nomi e le appartenenze? La preparazione scientifica e l’asettica tecnocratica dei profili coinvolti legittima l’operazione o la rendono sospetta? L’Agenda digitale del governo da poco composta non convince in quanto non è trasparente e non è popolare.
E poi perché una Costituzione per Internet? Internet può avere una Costituzione? Una realtà, uno spazio desoggettivato come il web può possedere una Costituzione? Sulla base di quale sovranità o identità politica questa commissione sta operando?

La presidentessa Boldrini lo spiega (?) in una intervista esclusiva rilasciata a Repubblica: “L’idea di costituire una Commissione di studio nasce dalla consapevolezza che considerare Internet uno dei vari media è riduttivo e improprio. Internet è molto di più: è una dimensione essenziale per il presente e il futuro delle nostre società; una dimensione diventata in poco tempo un immenso spazio di libertà, di crescita, di scambio e di conoscenza”. Praticamente il ministro Boldrini non ci dice nulla di ciò che un fanciullo può immaginare.

La Carta dei Diritti web sembra trovare consensi a partire dal World Summit on Information Society svoltosi a Tunisi nel 2005, dove per limitare il potere delle multinazionali intenti ad accumulare dati per l’utilizzo deviato si è pensato “a tavolino” di riequilibrare il gioco delle parti, soprattutto in merito ai diritti di privacy, per la garanzia di una interoperabilità e sicurezza dei dati, per l’abbattimento delle frontiere culturali/economico-digitali, per raggiungere l’obiettivo di una organizzazione della cooperazione sociale in rete. Quest’ultima cosa è la cosa che più di tutte le motivazioni non convince; cosa vuol dire “organizzare” la cooperazione sociale in rete? Organizzare la cooperazione vuol dire razionalizzare il lavoro sociale?Quale è l’identità di questa razionalità, una razionalità capitalista a suo volta?

La Boldrini aggiunge: “Per dare nuovo impulso alla partecipazione democratica sempre più in crisi in molti paesi. Sono convinta che anche grazie agli strumenti offerti dalla rete il Parlamento possa trovare opportunità per rilanciare la sua funzione”. Cosa vuol dire ciò? Che tipo di partecipazione democratica ha in mente la Boldrini? Una partecipazione alla Grillo, alla Casaleggio, alla Berlusconi?

La bozza sembra essere pronta, eppure, già le operazioni con cui sembrano essere andate le cose fino adesso non convincono. Ciò che più di tutto non convince è il fatto che i cittadini non sono stati alfabetizzati per nulla dalle istituzioni su questa faccenda. Il governo discute di Articolo 18 e non di internet; perché manca un dibattito più diffuso e maturo? I firmatari, o chi dovrebbe poi usufruire della Carta, sanno poco o nulla di ciò che li riguarderà, eppure, si parla di più democrazia. Se i tempi non sono maturi per esprimere un’operazione del genere perché forzare la mano? Con una operazione del genere non si rischia di far più danni che altro? E, ancora, questa giuridificazione non corre troppo il rischio di diventare ideologica? Si è parlato di una sintesi dei lavori ad opera del professore Stefano Rodotà, ma chi incarna il professore? Quale Noi politico testimonia? Il popolo italiano o i tecnocrati? Cosa centra con l’Italia e l’Europa delle masse un progetto che ha poi origine dall’Agenda Monti (Francesco profumo)?

Quest’ultimo discuteva tra le cose scontate (e condivisibili) alcuni passaggi rischiosi, fuorvianti, ideologici, e pericolosi da affrontare quando manca maturità di pensiero, di tecnologie, di coscienza di tutti i beneficiari. Tra i diritti contemplati ricordiamo quelli alla garanzia per la neutralità e la trasparenza della rete, l’assicurazione i diritti umani e le libertà fondamentali, il rispetto della dignità e della integrità della sfera personale di ciascuno e la sua libertà di espressione, la tutela dell’autonomia di ciascuno anche nella propria identità digitale (la riservatezza dei dati personali), la garantire della cittadinanza in rete (attraverso un’accesso universale all’infrastruttura), l’apertura dei dati del settore pubblico e la loro libera utilizzazione nei limiti della legge, la fruizione da parte di tutti come mezzo di diffusione e condivisione, la promozione della circolazione della conoscenza e dei contenuti in rete, la promozione della sicurezza in rete (sia essa di interesse pubblico sia essa di interesse individuale), la promozione delle azioni positive per l’educazione elettronica e la tutela dei diritti. 

Ora cosa vogliono dire questi diritti e, soprattutto, non esiste ancora una cittadinanza europea e ci azzardiamo a promuoverne una del web? Non è che stiamo cascando nella stessa illusione, o peggio operazione ideologica e capitalista, che abbiamo appreso solo di recente nel caso dell’integrazione europea attraverso l’euro e il diritto? Non sappiamo ancora cosa è il web, quale è la sua valenza politica, sociale, culturale, e proponiamo di sottoscrivere e votare una Costituzione? Chi sono i cittadini che la voteranno?

Attualmente si diffonde la notizia che, a lavori di bozza quasi finiti, ci sarà una fase di consultazione pubblica, tra la Commissione le associazioni, i cittadini e altri esperti del settore. Siamo sicuri che questa sequenza sia normale o è invece del tutto patologica? Non si impara dagli errori del passato o peggio chi conduce il ballo spera che vi sia una convalida popolare, plebiscitaria, per un progetto antidemocratico e bonapartista?

Nel frattempo la presidenza della Camera si confronta con le analoghe commissioni in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, mentre il prof. Rodotà spera di far giocare all’Italia il ruolo di protagonista in Europa nei prossimi incontri; ma siamo sicuri che questa mega-operazione non sia una di quelle cose all’europea?

Questo genere di operazioni nel campo della finanza, del diritto, dell’economia reale, del lavoro, delle migrazioni, non è che hanno giocato a favore delle masse ma semmai a favore dei potenti … o no?