Il 21 gennaio 2012 il GUP di Roma Barbara Callari rinviava a giudizio Luigi De Magistris, attuale sindaco di Napoli e ex magistrato, e Gioacchino Genchi, esperto informatico e avvocato che si occupava di incrociare i tabulati telefonici nell’ambito di inchieste importanti, con l’accusa di aver acquisito illecitamente i tabulati telefonici di alcuni parlamentari nell’ambito dell’inchiesta Why Not.
Ieri, il 24 settembre 2014, a due anni di distanza dal rinvio a giudizio, il processo si è concluso in primo grado con un esito che promette di far discutere: il tribunale di Roma ha condannato in primo grado Luigi De Magistris e Gioacchino Genchi a un anno e tre mesi per abuso d’ufficio, con sospensione della pena e non menzione nel casellario giudiziario. L’illecito dunque ci sarebbe effettivamente stato: il magistrato e il suo tecnico non avevano il diritto, per legge, di “scavare” tra le telefonate effettuate dai politici indagati nell’inchiesta Why Not per accertare la loro colpevolezza o innocenza.
La condanna ha inevitabili ripercussioni sulla carriera dell’ex magistrato e attuale sindaco di Napoli, e segna uno spartiacque profondo, un punto di non ritorno nella sua vita, privata ma, cosa che ci interessa maggiormente, soprattutto pubblica. Luigi De Magistris si trova ora davanti a una scelta difficile. Le possibilità sono due: dare le dimissioni (per rispetto, come chiedono in molti, della propria integrità morale e politica) o restare in carica come sindaco, cosa che la sospensione della pena dovrebbe tranquillamente permettergli di fare, a meno che il Prefetto non decida di applicare la legge Severino, nell’attesa che il secondo e poi il terzo grado di giudizio, appello e cassazione, confermino o disconfermino la sua condanna.
Nell’attesa di vedere cosa accadrà, ci sembra doveroso andare a ripercorrere dall’inizio tutti i passi dell’inchiesta Why Not, che vide protagonista l’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris, per capire su cosa vertevano all’epoca quelle indagini e quali conseguenze hanno avuto, e hanno tuttora, sugli equilibri politici italiani.
Partiamo dall’inizio: è il giugno 2007 quando il pm Luigi De Magistris fa partire 26 perquisizioni a carico di altrettanti indagati. L’inchiesta Why Not, che prende il nome da una società di Lamezia Terme che fornisce alla Regione Calabria lavoratori specializzati nel settore informatico, si avvia in seguito alle dichiarazioni di Caterina Merante, socia e amministratrice di Why Not, che per la prima volta porta alla luce, attraverso la sua testimonianza, la supposta esistenza di un gruppo di potere trasversale tenuto insieme dalla loggia massonica nota come Loggia di San Marino. Al centro della vicenda c’è il nome di Antonio Saladino, imprenditore calabrese allora presidente della Compagnia delle Opere della Calabria, già indagato nell’ambito di un’altra inchiesta guidata da De Magistris, Poseidone: Saladino, sfruttando il potere garantitogli dalla sua carica e i suoi presunti contatti politici (poi smentiti) con uomini influenti, tra cui, secondo gli inquirenti, Clemente Mastella (all’epoca Ministro della Giustizia) e Romano Prodi, entrambi indagati nella fase iniziale del processo, sarebbe riuscito a procurare appalti e garantire finanziamenti alle società che gravitavano intorno alla sua sfera di interesse.
L’inchiesta, per il fatto stesso di portare alla luce presunti rapporti tra politici, massoni e imprenditori, sollevò un polverone: soprattutto perché, prima ancora che venisse aperto il fascicolo Why Not, l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella aveva richiesto il trasferimento cautelare di Luigi De Magistris. Si veniva a configurare quindi un “conflitto di interessi” tra il pm indagante e l’indagato: De Magistris, in qualità di pm, si trovava a condurre indagini sul ministro della Giustizia che ne aveva chiesto il trasferimento. Intorno al gesto di Mastella si sollevarono numerose polemiche: in molti infatti ritennero che la richiesta di trasferimento nei confronti di Luigi De Magistris da parte di Clemente Mastella fosse un tentativo di bloccare sul nascere le indagini nei suoi confronti. Fatto sta che, nell’ottobre 2007, il procuratore generale di Catanzaro, Dolcino Favi, appena una settimana prima della scadenza del suo mandato, chiese la revoca delle accuse nei confronti di Mastella e avocò a sé l’inchiesta Why Not, sottraendola quindi a Luigi De Magistris per questa presunta incompatibilità.
Lo stesso Luigi De Magistris, indignato per la decisione del procuratore generale Favi, commentò amaramente: “mi hanno strappato ingiustamente la toga da magistrato”. Dietro l’azione di forza del procuratore generale di Catanzaro, Dolcino Favi, si celerebbe la mano proprio di Clemente Mastella. Tutte ipotesi che restano però inverificabili. Clemente Mastella fu in ogni caso prosciolto da tutte le accuse dopo che l’inchiesta, tolta a De Magistris, passò nelle mani della Procura Generale di Catanzaro.
Ma veniamo ora al nodo cruciale della condanna di Luigi De Magistris: l’acquisizione illecita dei tabulati telefonici presumibilmente collegabili ad alcuni politici. Il vizio di forma sta proprio in quelle due parole: presumibilmente collegabili. Quando Luigi De Magistris chiese a Gioacchino Genchi di acquisire i tabulati telefonici dei cellulari di alcuni deputati e senatori, non sapeva ancora che quelle utenze telefoniche appartenessero effettivamente a deputati e senatori. A chi erano intestati quei cellulari si scoprì soltanto dopo, quando cioè furono acquisiti i tabulati e richieste notizie alle compagnie telefoniche. Ora, bisogna sapere che le regole per l’acquisizione dei tabulati dei cellulari dei parlamentari sono diverse da quelle per l’acquisizione dei tabulati delle utenze intestate a normali cittadini: per ottenere i primi bisogna chiedere autorizzazione preventiva. Ecco l’abuso d’ufficio di cui si sarebbe macchiato Luigi De Magistris insieme al tecnico Genchi: violazione delle prerogative parlamentari.
A chi appartenevano quelle utenze? Clemente Mastella, certo, ma anche il deputato Francesco Rutelli, il senatore Giancarlo Pittelli (rinviato a giudizio a Salerno per il complotto in danno di de Magistris), i deputati Beppe Pisanu (ex ministro dell’Interno di un governo Berlusconi), Domenico Minniti, Antonio Gentile, Sandro Gozi. Addirittura l’allora premier Romano Prodi (poi archiviato nel 2008). Come era prevedibile l’inchiesta Why Not gettò in crisi la politica italiana di quegli anni: Mastella infatti, dopo il provvedimento di arresti domiciliari nei confronti della moglie Sandra Lonardo, indagata per tentata concussione dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, decise nel gennaio 2008 di dimettersi dalla carica di ministro della Giustizia, asserendo che nei suoi confronti e nei confronti della sua famiglia, di sangue e politica, con l’inchiesta Why Not prima e la condanna della moglie poi, era stato ordito un complotto da parte della magistratura. Con le sue dimissioni, e senza l’appoggio dell’Udeur, il governo Prodi crollò il 24 gennaio 2008.
Oggi Clemente Mastella, che tanto caro pagò la zelante iniziativa del pm De Magistris, commenta così la sua condanna: “Deve dimettersi e pagare i danni”, e descrive l’inchiesta Why Not come “il tentativo di delegittimare un governo e una classe politica”, di cui la successiva inchiesta di Santa Maria Capua Vetere che vide coinvolta la moglie fu una semplice conseguenza. “Il risultato di quelle due inchieste è che fui messo letteralmente fuori gioco”. Oggi, a distanza di otto anni da quella crisi politica di cui fu protagonista, Clemente Mastella chiede a Luigi De Magistris di fare esattamente quello che fece lui: dimettersi, generando una crisi politica, seppure ristretta a un livello locale. Così come all’epoca dell’inchiesta Why Not si parlò di “complotto della magistratura” contro i politici (o della politica contro la magistratura, rappresentata dal destituito pm De Magistris, a seconda che ci si voglia schierare da una parte o dall’altra), oggi sorge spontaneo il dubbio che dietro la condanna di De Magistris possa nascondersi una trama altrettanto fitta. Purtroppo nessuno può dirlo con certezza. Le certezze che abbiamo sono altre, e sono due: che De Magistris era, da magistrato, ed è tuttora da politico, un personaggio (potenzialmente) scomodo; e che il rapporto tra politica e magistratura, potere esecutivo e potere giudiziario, merita in Italia una profonda e attenta riflessione.