Il primo libro di Marco Martone “Polvere di Las Tunas”, racconta la scoperta personale di Victoria di Las Tunas, capoluogo di una della più importanti province Cubane.
Una Cuba diversa da quella che spesso ci hanno raccontato con filmati reportage e quant’altro.
Una Cuba che ci ha sempre stregato, affascinato… sospesa nel tempo, refrattaria ad ogni modo e globalizzazione, lontana da ogni costume “volgare e eccessivo” del mondo occidentale.
La sua Cuba è diversa perché è molto più autentica: è quella più antica, che “re-siste” ad ogni forma di cambiamento, mantenendo con fierezza e carattere la propria storia, e che Marco ha potuto conoscere meglio poiché è la città dove è nata la moglie Nory, ed è proprio grazie ai tanti soggiorni, in 10 anni, ha potuto conoscere un’isola completamente diversa da tutti quegli stereotipi a cui lo avevano e ci hanno abituato.
E dopo tanti viaggi, per mantenere il rapporto con la terra d’origine della moglie, Marco ce ne fa dono con un libro che è bellissimo ed emozionante soprattutto perché è vero; è la realtà che lui vive da quando è diventato anche lui un po’ Tunero, che in qualche modo ha molte similitudini con la sua, la nostra, Napoli.
Una sorta di parallelismo tra Las Tunas e la Napoli passata, quella che era fatta di genuinità, di voci, colori, di musica che erano il fulcro di una grande speranza che i cittadini avevano.
Ed è da queste fondamentali essenze, in una sorta di “viaggio reale e di pensiero”, tra la sua storia personale, la sua famiglia d’origine, la casa di nonni e tutti i ricordi di quando era bambino, e con ciò che invece rappresenta la realtà della città di Las Tunas.
Un modo per ritrovare dentro di sé ricordi che forse credeva perduti. La forte alternanza di sentimenti di odio e amore dove spesso la realtà, i tanti aspetti e le sfaccettature diventano facce della stessa medaglia.
Marco ci regala i sentimenti, il vento, il chiasso delle strade, la gente, i colori, il dolore e la polvere
– “la polvere come metafora del mondo antico ma anche elemento pragmatico”. –
Marco ci racconta dei Tuneri, e del loro carattere e di come riescono ad essere persone che si accontentano per vivere. Un sopravvivere senza farsi prendere dalla necessità del superfluo. Ci racconta le tradizioni cubane dal rito natalizio del maialino, alla musica del ritmo cubano a l’esuberanza di las chicas.
Una città all’apparenza silente, tranquilla quasi come se fosse in letargo, una città immobile dove il progresso tarda ad arrivare, meglio dire fatica ad arrivare, dove ancora ci sono strade solcate da carretti trainati dai cavalli o da camion sgangherati strapieni di uomini e donne che silenziosamente viaggiano verso il lavoro nei campi.
A Las Tunas si passa dal silenzio alla concitazione. Si urla per parlare da balcone in balcone, da edificio a edificio.. in strada si urla per ogni cosa. Non chiedete mai un cubano di abbassare il volume dello stereo e neanche il tono della voce, sarebbe fiato sprecato.
Una fotografia di una Cuba privata, fatta di momenti che Marco ha raccolto in una serie di foto, come la stessa copertina, che sono inserite all’interno dei capitoli del libro.
Le Emozioni per questa città sono tante e sono altalenanti e contrastanti.
A Las Tunas come in tante altre città cubane i bambini girano scalzi e vivono per strada hanno lo stesso volto degli scugnizzi napoletani però senza quella malizia nello sguardo.
Un città che si risveglia prepotente di notte quando quei pochi locali del centro della città prendono vita grazie alla presenza di belle ragazze… e le bottiglie di birra non si contano più.
Ed ecco che Marco ci regala immagini e parole prese dal suo cuore e dai suoi occhi. Lo fa con aria disincantata a tratti quasi intriso da ingenuo stupore ma con sguardo attento e soprattutto scevro da ogni contaminazione stereotipata.
Del resto lo scrive – “las Tunas è un luogo che fatichi ad amare da subito, ma che poi non dimentichi più.” – Mai Cuba è stata più vicina a Napoli. Un libro di persone, sentimenti, luoghi, un libro d’amore.
“Gocce della stessa pioggia
Bagnano la terra dalle lunghe trecce…
Sogni che muoiono all’alba,
Perdendosi sul labbra che saranno e furono…”
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