Lontano è il tempo in cui lavoratori oppressi, disoccupati, studenti o semplici miserabili si accalcavano sotto i palazzi dei potenti e, organizzati e militarizzati, li facevano tremare riuscendo sempre a strappare nuove conquiste sociali e politiche. L’operaio crocifisso a Pomigliano d’Arco non ha compiuto un gesto teatrale e simbolico incarnato fino in fondo, ma solo una effimera provocazione rivolta ai mass media.
La notizia della crocifissione è stata diffusa ieri dallo stesso Marco Cusano, operaio licenziato dalla Fiat di Pomigliano d’Arco. L’uomo, per mostrare metaforicamente come gli industriali e le multinazionali hanno ormai ridotto i lavoratori e le famiglie, si è incatenato a una croce, inscenando il supplizio di Cristo. Ma la sua messa in scena, nel vuoto sociale e mediatico di sindacati asserviti o impotenti, ha suscitato solo risate isteriche e puerili manifestazioni di protesta.
La croce è stata posta davanti allo stabilimento di Pomigliano d’Arco e l’operaio licenziato si è appeso, aggrappandosi a cappi di laccio e fune. Il varco dal quale gli operai entrano quotidianamente a lavoro, da soglia dello sfruttamento, si è trasformato nel palcoscenico di uno spettacolo mediatico, da dare in pasto a un pubblico distratto e assuefatto dalle pompose e sfarzose cerimonie per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica italiana: Sergio Mattarella.
Nel giorno del giuramento del presidente della Repubblica, tra l’altro coinvolto nelle trattative tra Stato e Mafia e nello scandalo dell’uranio impoverito, Marco Cusano e altri tre solitari colleghi hanno rivolto un appello al Quirinale. Abbandonandosi al fatalismo, Marco Cusano ha esclamato, riferendosi a Sergio Mattarella di fronte ai giornalisti: “Se lui è il presidente dei più deboli allora ci deve aiutare perché noi siamo dei poveri cristi“. Un appello che rimarrà, probabilmente, inascoltato.
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