Equo compenso per i praticanti avvocati. Possiamo incominciare a intravedere spiragli di luce per i giovani praticanti?. Per rispondere a tale domanda bisogna partire da un fatto storico e da un dato normativo.
Volendo partire dal primo punto bisogna segnalare che in questi giorni è avvenuto un importante incontro tra il sottosegretario al Ministero della Giustizia, Jacopo Morrone, ed i Consigli degli Ordini e dei Collegi professionali italiani sulla delicata questione del diritto all’equo compenso anche per i giovani operatori del diritto.
Il provvedimento, inserito nel Def (Documento di economia e finanza), ha la precipua finalità di consentire ai giovani che intraprendono la carriera forense, dopo anni di duri studi universitari, di ottenere delle condizioni di retribuzione parzialmente dignitose che siano aderenti alle mansioni effettivamente svolte e all’ impegno prestato nello svolgimento della pratica legale tra le attività in tribunale e all’ interno degli studi legali. Tale provvedimento nasce con le intenzioni di avvicinare i ragazzi alle libere professioni cercando di far conciliare in maniera coerente, tra obiettivi e risultati, le conoscenze giuridiche acquisite sul campo ( e non solo sui manuali) con quelle di una legittimo riconoscimento economico per le mansioni svolte. In vari stati europei, tra cui Germania, Francia, Olanda tutto ciò è prassi consolidata nel tempo mentre in Italia solo nel 2019 se ne sta incominciando a parlare ( forse) in maniera concreta.
Altra questione è inerente il dato normativo attualmente vigente nel nostro sistema giuridico.
La base su cui ragionare attualmente, salvo migliori modifiche, è’ art 41 comma 11 della legge 241/2012 ossia la legge forense. L’ articolo in questione stabilisce che l’attività svolta dai praticanti non determina di diritto l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato neanche di natura occasionale. Da ciò si evince che ai collaboratori e/o praticanti è dovuto un compenso solamente dopo i primi sei mesi di pratica e soltanto dietro stipula di apposito contratto. Tra l’altro, la legge non impone tale retribuzione, ma ne offre solamente la possibilità.
L’ introduzione dell’equo compenso si tradurrebbe nell’ obbligo di corrispondere ai giovani liberi professionisti un onorario non inferiore ad un limite di legge. Tuttavia il problema è un altro e, paradossalmente, ben più complicato ( visto che in Italia la cultura giuridica non corre di pari passo con il riconoscimento pratico ed effettivo del lavoro effettivamente svolto). Ed invero, se si obbligassero tutti gli studi legali a retribuire i propri praticanti, molti giovani operatori del diritto si troverebbero senza un posto di lavoro o, cosa ancora più grave, si continuerebbe a farli lavorare in nero come spesso accade.
In termini di cifre non è dato ancora sapere a quanto ammonterà l’equo compenso per praticanti avvocati. La previsione, per il momento, dice solamente che l’equo compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Ciò che sembra certo, però, è che verranno stabiliti dei parametri minimi, che possono variare rispetto al contributo concretamente fornito dal lavoratore.
Alla luce di queste considerazioni in fatto e in diritto e , soprattutto, ai fini di una giusto riconoscimento per il lavoro svolto dai tanti giovani che si affacciano nel mondo della libera professione,occorrerebbe una normativa chiara, precisa e netta che stabilisca criteri certi per l’equo compenso perchè, anche da questa strada, passa il futuro di un paese migliore cercando di formare professionisti seri e consapevoli che la loro strada, seppur tortuosa, potrà essere ricca di gratificazioni.
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