Il dossier Anpo sugli ospedali campani traccia un quadro davvero preoccupante per la salute pubblica: dal Cardarelli al Santobono, dal Pascale al San Giovanni Bosco, l’emergenza sanità è ovunque. La carenza dei posti letto, addirittura di barelle, nei nosocomi partenopei è solo la punta dell’iceberg di una crisi che comincia molto più lontano: dal decreto regionale 49/2010, che avrebbe dovuto ridisegnare la sanità campana, ma che in effetti non l’ha fatto, lasciandosi dietro soltanto un codazzo di tagli selvaggi ai fondi pubblici, la crescente carenza di personale sanitario dovuta al mancato sblocco del turn over, un piano ospedaliero “fantasma”.
Una situazione che nuoce a tutti: pazienti e lavoratori del settore, anche ai piani alti. “Il blocco del turn over non crea solo disagi a dirigenti medici e infermieri ma anche ai primari. In Campania mancano oltre 200 posti di primari e la maggior parte dei quelli in servizio sono precari”.
Emergenza sanità: “L’offerta di salute è crollata”
Il dossier dell’Anpo, Associazione Nazionale Primari Ospedalieri, presentato questa mattina in conferenza stampa all’ospedale Cardarelli di Napoli, mostra il volto di una sanità pubblica sfigurata da una gestione spesso scellerata e malaccorta delle risorse, economiche e umane. I problemi sono tanti, complessi e interlacciati: a farne le spese sono, in prima battuta, gli stessi medici, che si trovano a lavorare in condizioni difficili se non indecenti, ma, in ultima analisi, soprattutto i pazienti, che da questa situazione rischiano di non uscire vivi (letteralmente).
Ecco qual è la situazione dei principali ospedali partenopei
C’è poco da ironizzare purtroppo: Raffaele Perrone Donnorso e Vittorio Russo, rispettivamente presidente nazionale e regionale dell’Anpo, insieme ai primari delle più importanti strutture ospedaliere partenopee parlano chiaro: se non ci sarà un’inversione di rotta, ben presto gli ospedali campani non riusciranno più a far fronte alla richiesta di cure dei loro pazienti. E la sanità in Campania colerà letteralmente a picco.
Il Cardarelli è un’eccellenza (mortificata) in continua crescita
Il problema non è il “fenomeno barelle” spiega Generoso Uomo, Primario Medicina Terza dell’Ospedale Cardarelli. Anche se nessuno lo sa, perché la stampa racconta solo il marcio, il Cardarelli è un’eccellenza nel panorama ospedaliero partenopeo e addirittura campano: “i nostri pazienti arrivano da tutta la Regione, pur sapendo di dover accettare una sistamazione di fortuna”, perché sanno che il Cardarelli è sinonimo di garanzia. E, nonostante i tagli e la costante carenza di personale sanitario (140 lavoratori all’anno dal 2006 al 2010, 500 negli ultimi 4 anni), gli indici di attività del Cardarelli sono in aumento: ogni giorno vengono operati nella struttura 3,8 pazienti in media, e il numero di ricoveri (oltre 67mila nell’anno 2014) è aumentato del 7%.
“Al Cardarelli visitiamo un paziente ogni 2 minuti. E il livello delle nostre prestazioni è altissimo. Nel 2013 abbiamo chiuso addirittura con un bilancio in attivo di 10 mln”. Tutto senza risorse. “Per quanto ancora riusciremo a mandare avanti in maniera eccellente la struttura? L’ospedale Cardarelli è ormai allo stremo. Il nostro è un grido di allarme. La politica la smetta di mortificare la sanità“.
Monaldi, Cotugno e CTO: zero barellieri, troppi precari
Il problema principale dell’Azienda dei Colli, spiega Nico Cattaneo, primario di Chirurgia Endoscopica dell’ospedale Monaldi, è la carenza di personale ausiliario e sociosanitario: “barellieri, soprattutto”, ma anche anestesisti (che si sobbarcano turni di lavoro al limite dell’umano), personale ausiliario si occupi di tutto ciò che ruota intorno all’assistenza del paziente: accompagnamento dei malati, ritiro dei farmaci, consegna dei campioni ematici, etc. Tutte queste attività ricadono attualmente sulle spalle degli infermieri, che per giunta sono pochi, e pure anziani, perché nel settore sanitario in Campania non si assume da 20 anni. E lo sblocco del turn over resta un pio miraggio.
Istituto Tumori Pascale: per fare la chemio ci si ricovera
La situazione dell’Istituto Tumori Pascale, dal 28 ottobre affidato a un commissario straordinario, Loredana Cici, non è migliore: i problemi riguardano soprattutto la carenza di personale infermieristico, e il fatto che molti di questi infermieri o sono inabili all’assistenza oppure vengono assegnati a tutt’altro genere di compiti, “un retaggio dell’ultima gestione” spiega Nicola Maurea, Primario Cardiologia dell’Istituto Pascale. Poi c’è la questione della destinazione d’uso dei fondi, ottenuti attraverso le attività di ricerca e sperimentazione sui tumori: questi soldi, come hanno più volte denunciato i medici del Pascale, vengono distribuiti a comparto, e spesso destinati a attività che nulla hanno a che fare né con la ricerca né con la cura dei pazienti. Come? Per esempio assegnandoli a progetti incentivanti, stipulando contratti di consulenza con persone esterne alla struttura ospedaliera, e così via. “Un esempio: l’ufficio formazione impiega a tempo pieno ben 7 dipendenti. Ma non potrebbe essere mandato avanti con molte meno persone?”
La conseguenza di questa gestione quantomeno inadeguata dei fondi è la inevitabile riduzione delle attività di cura: meno un terzo delle operazioni, 3 mesi e mezzo di attesa per gli interventi di chirurgia maxillo-facciale, meno 4 accessi giornalieri per la chemioterapia, che costringono spesso i medici a ricoverare i pazienti che devono fare una seduta di chemio, con conseguente aumento di spesa, quando invece sarebbe sufficiente un semplice day-hospital.
Santobono: il reparto fantasma di neuropsichiatria infantile
Il Santobono Pausilipon è il primo pronto soccorso pediatrico in Italia per numero di accessi: 20% in più dal 2009 a oggi, circa 110mila nell’anno 2014, il doppio di qualunque altro ospedale pediatrico italiano. Eppure, anche il Santobono cade a pezzi: gli ultimi fatti di cronaca, che hanno visto la morte di due bambine in cura presso la struttura, seppure in circostanze completamente diverse, hanno messo i medici e gli operatori sanitari della struttura in una situazione di estrema sofferenza, concreta e mentale.
“Il 90% dei piccoli pazienti che arrivano da noi” spiega Emilio Cianciulli, Primario Neuroradiologia dell’ospedale Santobono, “ci vengono portati direttamente dai genitori: questo significa che non c’è, a monte, nessuna richiesta preventiva di consulenza pediatrica”. Le famiglie non si rivolgono al pediatra di fiducia, vanno direttamente al pronto soccorso, saturandolo. “Infatti, il 70% dei bambini che arrivano al pronto soccorso del Santobono sono codici bianchi: questo vuol dire che, se l’assistenza locale funzionasse, non arriverebbero al pronto soccorso, perché non ne hanno realmente bisogno”.
La situazione più drammatica però riguarda la Neuropsichiatria Infantile: “i casi di bambini affetti da problemi psichiatrici sono in costante aumento. Tuttavia, in tutta la Campania non abbiamo un posto letto dedicato alla neuropsichiatria infantile“. O meglio: i posti letto ci sono, nel senso che sono stati assegnati, ma nessuno di questi è ancora stato attivato. Inoltre, scandalo nello scandalo, al Santobono non è stato previsto nessun posto letto per i piccoli pazienti con disturbi neuropsichiatrici. “Questo significa che quando un bambino arriva da noi in emergenza psichiatrica, possiamo limitarci a intervenire in fase acuta, ma laddove è necessario il ricovero, siamo costretti o a portarlo fuori Regione, o ad arrangiarci, ricoverandolo nei reparti di neurologia e pediatria, che però non sono adatti alle sue esigenze”.
San Giovanni Bosco: anche i presidi ospedalieri dell’Asl Na1 sono in emergenza
I quattro ospedali con pronto soccorso gestiti dall’Asl Na1, San Paolo, Pellegrini, Loreto Mare e San Giovanni Bosco, sono nella stessa situazione delle strutture nazionali: anche qui l’emergenza posti letto sta degenerando in un “fenomeno barelle” sempre più grave. Al San Giovanni Bosco sono 21 i ricoveri quotidiani in barella su 162 posti letto disponibili, circa il 15%. “Questo accade” afferma Fabio Tamburro, Primario Radiologia Generale del San Giovanni Bosco, “perché i presidi territoriali sono del tutto assenti. Le persone vengono al pronto soccorso per qualsiasi prestazione, anche impropria, contando sulla presenza dei medici 24h e sulla impossibilità, da parte loro, di sottrarsi alla richiesta di cure”. A questo si aggiunge il fatto che, nello specifico, al San Giovanni Bosco non è stato ancora regolamentato l’accesso al pronto soccorso tramite triage, cioè in base ai codici colore di gravità della patologia.
Anche nelle strutture ospedaliere dell’Asl, la confusione regna sovrana. E la prossima apertura dell’Ospedale del Mare non aiuta a fare chiarezza: a marzo apriranno, a quanto pare, gli ambulatori medici: all’Ospedale del Mare confluiranno dunque gli ambulatori di Ascalesi, San Gennaro, Loreto Mare e Incurabili. Ma non è ancora chiaro se l’ospedale del Mare svolgerà anche attività di pronto soccorso. Il rischio, se la riorganizzazione dei presidi ospedalieri in funzione dell’apertura dell’Ospedale del Mare non sarà gestita a dovere, è quello di ridurre ulteriormente l’offerta sanitaria, perché alla chiusura dei vecchi ambulatori non farà fronte una adeguata funzionalità della nuova struttura.
C’è una ricetta per uscire dall’emergenza sanità?
La sanità in Campania è senza dubbio allo stremo. Ma non è dai medici che bisogna ripartire. È la politica a essere chiamata in causa. L’appello va ai governanti: le necessità immediate riguardano l’individuazione di un assessore regionale alla Sanità e lo sblocco del turn over, che proprio oggi è stato oggetto di una lettera di Caldoro a Matteo Renzi, per chiedere che finalmente si torni ad assumere nel settore sanitario campano. Ma lo sblocco del turn over da solo non basterà a risolvere la situazione: i politici devono imparare a chiedere aiuto agli esperti del settore. “La politica non deve agire in beata solitudine” afferma Vittorio Russo ma, gli fa eco Donnorso, “ascoltare i pareri di chi lavora con la medicina tutti i santi giorni”. Perché la sanità non è un bilancio da far quadrare, ma “l’esercizio della medicina“, il cui unico obiettivo è tutelare la salute dei pazienti e, dove possibile, salvare vite umane.