Recensione libri: ‘Mia’ di Federica Flocco

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Federica Flocco, giornalista e socia fondatrice di Iocisto, la prima libreria a partenariato sociale, esordisce con “Mia” (Alessandro Polidoro editore) nel suo primo romanzo.

Un racconto che parla di donne e di uomini, di relazioni e di ricerca di verità e di senso; un romanzo che esplora la violenza contro le donne con determinazione e delicatezza assieme e in cui spesso il grande accusato è il silenzio dell’indifferenza verso l’altro e anche verso se stessi, quello che l’autrice chiama la “melma”.

La melma diviene prigione soffocante che attrae verso il fondo impedendo ogni risalita; la melma che sporca, soffoca, stritola e nasconde il pensiero e l’anima.

Eppure una via di fuga c’è, c’è sempre la possibilità di provare a galleggiare nella melma senza lasciarsi di nuovo attrarre dal fondo ma aggrappandosi prontamente a quella mano che ti attrae a sé e che vuole liberarti dal fango.

C’è sempre una via di fuga, certo, ma, come si legge nel romanzo, la paura è un inferno peggiore del peccato… paura dell’altro e del suo amore spento, paura di sé e del proprio coraggio annullato, paura dell’altro che non ama davvero e di se stesse perché non ci si ama abbastanza.

Una strada c’è sempre, essa si districa con difficoltà nella scelta di essere se stesse, di appartenere solo a se stesse, di poter urlare di essere Mia, come il titolo del romanzo suggerisce abbandonando l’altra declinazione di “Mia” come possesso dell’uomo che di Amalia, una delle protagoniste femminili, sequestra il corpo come l’anima.

Il romanzo di Federica Flocco, si presenta come un dialogo a più voci che corre dal presente al passato e viceversa, che indaga le origini del male come del coraggio di allontanarsene in un tempo che è sempre e che è mai più.

Il lettore non può restare esterno a questo tempo che diviene il suo stesso incedere, un tempo in cui ogni storia diviene la storia di tutti, in cui causa ed effetto non sono solo il normale procedere di un esperimento, ma la vita stessa che chiama e si nasconde.

Una storia nella storia, un gioco di scatole cinesi o di matriosche che porta dall’esterno fino al cuore del problema, l’amore violato, e che poi riconduce dal cuore nuovamente all’esterno ponendo a tutti e a ciascuno interrogativi profondi e talvolta dilanianti sul ruolo dell’indifferenza dinanzi a ciò che spesso è visibile agli occhi, ma che si finge di non percepire.

“Mia”, solo in questo aggettivo possessivo si svela la consapevolezza dell’esistenza; mia, perchè ciascuno appartiene solo a se stesso, nessuno può appartenere ad altri.

Io sono Mia non come slogan femminista, ma come regola di vita; perché solo nella consapevolezza di sé si può esistere e scegliere… scegliere come esistere.

Il romanzo della Flocco, suscita molti interrogativi nel lettore accurato, domande che toccano il quotidiano della nostra esistenza troppo spesso frequentato da femminicidi e da violenza fisica e psicologica contro le donne.

Ci si chiede: come è possibile per un violento condurre una vita “normale”, fare finta di niente? Come è possibile perdonare? Può il destino essere causa di tanti soprusi e tanto dolore?

Nessuna violenza può essere giustificata dal destino, una quasi predestinazione alla sofferenza; nessuna violenza può essere giustificata dalla condizione sociale o psicologica del partner.

Antonio, il protagonista maschile di Mia, sembra vendicare il suo dolore punendo il genere, dimostrando non tanto una deriva psicologica quanto culturale rispetto alla sua storia che sembra ripetersi all’infinito.

Queste sono vite che si rincorrono in tondo, la via di fuga è nel riconoscersi Mia.

 

di Loredana De Vita