La recensione di “Splendi come vita”, di Maria Grazia Calandrone, libro tra i 12 finalisti al Premio Strega 2021.
Una premessa generale al Premio Strega 2021:
Quest’anno sono spariti, o quasi, i libri che affrontano i grandi temi esistenziali, sono pochi quelli che si occupano di importanti tematiche storico/sociali. Lo ha notato anche Maria Franco che fa parte della Giuria di Nisida del Premio Strega.
Tutto, o quasi, si incentra sull’individuo, il microcosmo, la casa.
Infatti per più di un testo finalista, invece della definizione di romanzo, sarebbe appropriata quella di memoria, confessione, autobiografia
Premessa all’incontro con Maria Grazia Calandrone, autrice di “Splendi come vita”
Ho pensato, leggendo Maria Grazia Calandrone, a Danilo Dolci (sociologo, poeta, attivista della non violenza, maieutica socratica),
In particolare quando egli si chiede e ci chiede: “ Noi ascoltiamo? Ci ascoltiamo l’anima?” Soltanto alcuni giungono ad ascoltarsi. Camminiamo in una foresta… Noi siamo anche radici, tronchi, fiori e raggi di luce, l’ancora innominato alla coscienza e al divenire…”
Maria Grazia Calandrone ha ascoltato, continuamente, profondamente, intimamente la sua anima. Perciò le affinità con Danilo Dolci …
Raramente un libro mi ha preso così. Di solito è dalle prime pagine che sento se un libro mi coinvolge, o stento a leggerlo.
Qui, da subito, un fascino misterioso ti prende e non ti lascia più. Questo è, a mio avviso, il primo segno di grandezza di un libro.
Hai l’impressione di avere accanto a te Maria Grazia, una donna dimidiata tra Madre naturale e Madre adottiva, tra un prima e un dopo della stessa Madre.
Più che sacrosanta mi appare la definizione che tu stessa, cara Maria Grazia, fai del tuo testo: lo hai infatti definito una lettera d’amore alla Madre adottiva.
Temi
In questo libro è condensato il microcosmo femminile, il più valido e il più profondo, quello appunto fondato principalmente sull’Amore, il vero Amore, l’amore della Madre per la figlia e della figlia per la Madre. Una prima riflessione che mi viene dalla lettura riguarda la figura femminile, qui dominante: Madre naturale, Madre adottiva, figlia, Nonna.
Tutta la narrazione, quasi “sciolta” nelle pagine, appare di una naturalezza incredibile. Tutto è stranamente netto, preciso, circostanziato e, nel contempo, onirico, fabuloso, quasi magico.
Prima di entrare in medias res con l’Autrice, mi sento di esprimere ancora alcune considerazioni che mi vengono spontanee, dall’intimo.
Le fasi della vita di questa Autrice, dalla vita così particolare, sono distinte, per così dire, in “capitoli” (Madre, mettimi tra quelli, Madre è gelosa, Non avrai altri padri, Noi due…Inferno, Niente come la vita-Il collegio di suore…) Ma certamente non è questo il termine giusto. Sono invece momenti scanditi, anche dolorosamente, nella vita, nella mente e nell’anima di Maria Grazia. Sono spaccati di cambiamenti difficili e spesso radicali, che si riflettono sulla psiche. Quello che colpisce è che lasciano in lei una ricchezza in più, una saggezza diversa, un sentire profondo che la illumina e la rende sempre più protagonista attiva della sua vita.
Maria Grazia si serve delle parole. Per lei sono fondamentali. “Ti accompagno a parole. Perché a parole sono nata da te” scrive nell’exerga.
Le pagine, fatte di parole, “semi sparsi come costellazioni nell’aria…, si snodano dolcemente ma intensamente, quasi senza che ce ne accorgiamo … Un fluire di immagini, ricordi, flash, un fluire di sensazioni e intuizioni, di sogni e di nostalgie… Anche il parto è fatto di parole, quelle che la Madre pronuncia nella rivelazione. È questo il vero parto: la rivelazione alla bambina di 4 anni della vera sua origine. Non Consolazione, bionda madre elettiva, ma Lucia, bruna mamma biologica finita suicida.
Sembrano adatte a te, Maria Grazia, le parole di un poeta messicano che amo, Octavio Paz, sulla valenza della parola: la parola che canta, la parola che evoca, la parola che ricorda, la parola che dà vita.
“Bisogna sognare a voce alta, bisogna cantare fino a che il canto mette radici, tronco, rami, uccelli, astri…” Come vedi torniamo a Danilo Dolci
Tu hai scritto nel tuo libro (p. 139): “Parole come leve, martelli, frecce puntate a qualcosa che vibra e non ha nome o parola.”
Non so perché, ma per M. Grazia Calandrone ho pensato anche a Virginia Woolf: il gioco, la fantasia, l’estro quasi visionario producono nella scrittura costellazioni di immagini leggere o angosciose, fitte e talora inquietanti. Ne deriva un duplice taglio stilistico: mentre racconta, comunica, ricorda, espone, l’Autrice traccia anche un altro percorso oscillante dell’“intelligenza inconscia”. Un po’ quello che accadeva alla grande Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé, “un filo capriccioso che le è servito per muoversi nel labirinto verbale di sua invenzione”, come scrive Marisa Bulgheroni nella prefazione al testo.
Infine mi piace sottolineare l’esperienza salvifica delle parole. Parole come leve, bussole e armi dei disarmati. Dopo la morte della mia bambina, solo la Parola mi ha salvata. Parola che canta, parola che ricorda, parola che evoca, parola che dà vita. Ma anche parola che diventa una lancia nel cuore di chi ha ucciso un’innocente.
Conclusioni
“La vita è un arazzo e si ricama giorno dopo giorno con fili di molti colori, alcuni grossi e scuri, altri sottili e luminosi…”
Isabel Allende
Leggere questo “arazzo” è stato come percorrere un “itinerarium animi et mentis in Amorem”, nell’amore di una figlia per la Madre, di una Madre per la figlia. Tra sofferenze, ansie, chiusure, squarci di luce, illusioni e delusioni. Eros e pathos intrecciati. Perché l’eros non è mai salvo dalla sofferenza
Non nascondo che la mia attenzione, la mia partecipazione sono state sempre deste dalla prima all’ultima pagina. Non nascondo che la tenerezza e la pietas sono cresciute con il numero di pagine lette, fino ad arrivare ad una commozione finale davanti all’immagine di luce della Madre con la bimba ed al messaggio conclusivo, da cui il titolo del libro: “Splende, la vita, splende come vita. A volte splende quieta … A volte sfolgora come il lampo del sorriso”
Ed è questo lampo che rimane impresso in noi lettori.