Andrea Corona recensisce per RoadTv Italia il libro “Le Tigri e l’Agnello”, di Antonio Forni
di Andrea Corona
In una via del centro storico di Napoli, un antiquario di origini slave viene ritrovato morto con uno spillone, uno strano spillone per capelli dall’antica foggia, conficcato nella nuca. Che l’oggetto usato come arma fosse un pezzo d’antiquariato raccattato per caso da uno scaffale del negozio? È un’ipotesi ragionevole… finché una sorte analoga, di lì a breve, toccherà a un altro uomo, un odontotecnico, in un’altra zona della città. E poi a un altro ancora, sempre con questo strano oggetto nella nuca. Il disegno, adesso, è più chiaro: a Napoli c’è un serial killer. Toccherà al commissario Salina, coadiuvato dal Procuratore Rossella Presti, sua compagna anche nella vita, e al solerte agente Galante, far luce sul mistero. Un mistero le cui tracce condurranno ad abbazie e cimiteri, ai cunicoli e alle caverne della Napoli del sottosuolo, ma anche alle campagne toscane.
Le Tigri e l’Agnello di Antonio Forni
Le Tigri e l’Agnello, interessante novità editoriale della collana ‘Direzioni immaginarie’ (Homo Scrivens, Napoli 2020, 152 pp., 14 euro), gioca con gli stilemi del giallo – delitti all’apparenza insolubili, un commissario afflitto da mal di testa e gastrite, l’immancabile connubio tra eros e thanatos – per rivolgere i topoi del genere al di fuori del genere stesso. Se dalla detective story trae la sua forza, una forza che non dipende dalla esplicita presenza di dettagli cruenti o da grandguignol, né dal numero di pallottole esplose in una pagina, bensì dal metus, dalla paura per un mondo malconcio votato all’autodistruzione, è dal poliziesco di strada che l’autore Antonio Forni mutua le idee per il dipanamento del mistero.
Se nel giallo si fa ricadere il sospetto su tutti i personaggi e l’ambientazione è claustrale (pensiamo ad esempio al primo romanzo di Agatha Christie in cui compare Hercule Poirot, quel Poirot a Styles Court ambientato per l’appunto in una magione), l’autore del poliziesco, più che lanciare una sfida d’intelligenza al lettore, ci dice che è l’indagine, e non un colpevole da consegnare alla giustizia e
ai lettori, a dipingere un affresco: un affresco spesso urbano e confuso, disorganico come una società che non è solo razionale ma anche casuale (non a caso, ne Le Tigri e l’Agnello abbiamo la Napoli dei quartieri popolari posta di fianco alla Napoli “bene”). Ecco allora che l’omicidio percorre la superficie testuale come un sintomo: un sintomo narrativizzato di una realtà più ampia, dove il commissario di polizia si muove al pari di un picaro da romanzo spagnolo e dove l’assassino non è, necessariamente, più malvagio delle sue vittime.