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Reclusione minorile. Fino a quando? (Video intervista Mille Culure)

Il 21 settembre u.s. si è tenuto presso la Mostra d’Oltremare di Napoli, una giornata di studio, riflessione e confronto sul tema della reclusione minorile. Il Convegno ha ricevuto il patrocinio morale dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, del Centro Giustizia Minorile per la Campania, del Comune di Napoli, del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli e Torre Annunziata e di Libera.

Molti e di qualità gli interventi che si sono succeduti nelle due sessioni, mattina e pomeriggio, precedute dai saluti delle autorità che hanno aderito all’iniziativa stessa, tra gli altri, il Sindaco di Napoli Luigi De Magistris, il Dott. Vincenzo Spadafora, Autorità Garante per i Diritti dell’infanzia, l’On. Rosaria Capacchione, Commissione Giustizia del Senato, l’On. Alfonso Bonafede, Commissione Giustizia della Camera, l’On. Donella Mattesini, Commissione Infanzia e Adolescenza del Senato.

L’attenzione è stata rivolta sin dai saluti soprattutto alla proposta di un progetto di legge che preveda il recupero e il reinserimento sociale del minore sottoposto a condanna

La prima sessione“L’iniziativa legislativa dal basso: una proposta condivisa”, è stata moderata dal dott. Gianfranco Coppola, Rai 3, che ha guidato tra gli altri gli interventi di Mario Covelli, Presidente Onorario Camera Penale Minorile, di Ornella Riccio, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, di Giuseppe Centomani, Direttore del centro Giustizia Minorile per la Campania. Gradevoli anche gli interventi di Pino Porzio e Patrizio Oliva, noti sportivi impegnati attivamente nell’Associazione Milleculure per dare ai giovani attraverso lo sport la possibilità di crescere sani nel corpo e nella mente.

La seconda sessioneLe concrete prospettive di riforma. L’agorà dell’esecuzione penale minoriele: esperienze a confronto, è stata moderata dal Dott. Aldo Cimmino, Presidente C. P. M. che ha mediato gli interventi, tra gli altri, di Piero Avallone, giudice Tribunale Minorenni di Napoli, Domenico Ciruzzi, Vicepresidente U. C. P. I., Mariangela Covelli, Vicepresidente C. P. M., Gianluca Guida, Direttore I. P. M. di Nisida, Giovanni Savino, Presidente Coop. “Il Tappeto di Iqbal”.

Tutti i relatori hanno convenuto che sia necessario rendere i penitenziari minorili luoghi di educazione, ri-educazione e, talvolta, luoghi di prima educazione laddove le principali agenzie educative (scuola-famiglia-chiesa) hanno fallito lasciando un vuoto formativo colmabile solo ponendo al centro dell’interesse punitivo non l’applicazione di una pena retributiva ma riabilitativa.

Lo Stato deve essere presente nel percorso riabilitativo e può farlo con interventi preventivi, prima di tutto, quindi sostegno alle famiglie, favorire iniziative di sostegno e appoggio nella crescita dei ragazzi affinché non si arrivi alla detenzione, percorsi formativi e sostegno psicologico in fase detentiva allo scopo del reinserimento nella società.

Non è falso affermare che molte sono le associazioni e i gruppi che si occupano dei minori a rischio, ma affidare le responsabilità solo all’associazionismo è una scelta di comodo per deresponsabilizzare lo Stato circa le problematiche dei minori. Non è un caso, infatti, se molte delle associazioni che si occupano volontariamente dei minori a rischio nei quartieri più degradati delle città, sono spesso abbandonate a se stesse, non adeguatamente sovvenzionate e impossibilitate ad attuare misure driconoscimento del rischio e di intervento prima, durante e dopo il crimine.

In realtà, “esiste un processo penale minorile che nella pratica è antiquato perché non sono contemplate pene riabilitative”, dice il Dott. M. Covelli, “bisognerebbe liberare la pena più che i condannati”, conclude.

Immaginare una pena riabilitativa può non essere pura teoria se si modificano alcune modalità di determinazione e applicazione della legge quali, come suggerisce la Dott.ssa O. Riccio, “rapidità” di applicazione della pena stabilita,  “il ritardo comporta un giudizio di mancanza di credibilità e affidabilità verso le istituzioni”; “senso della pena”, cioè la pena deve avere un significato e cioè non essere retributiva ma riabilitativa grazie anche all’inserimento di una fondamentale tecnica e metodologia di reinserimento, “la mediazione tra carnefice e vittima”. Queste modalità possono rappresentare per il minore il passaggio da responsabilità responsabilizzazione”.

Lavorare con i minori, implica una grande consapevolezza delle difficoltà e dei limiti anche propri; significa, nelle parole del dott. G. Centomani, “superare l’ipocrisia di credere che i ragazzi nascano così” marchiati; significa “lavorare in equipe per fare con i ragazzi quello che ha senso quando ha senso”, importante è anche “l’individualizzazione dei ragazzi”, cioè ri-conoscerli oltre gli stereotipi e le categorie ovvie.

Questi sono risultati possibili perché i giovani “non sono futuro, sono oggi”, dice l’On. Mattesini“i diritti e le responsabilità sono due facce della stessa medaglia perché il percorso riabilitativo è fatto di rigore” ed è importante uscire dalla politica di emergenza, cioè una politica che intervenga solo quando il danno è già fatto.

Per quanto difficile, bisogna “educare al bello, dice il Giudice Avallone, ma per educare i minori bisogna educare gli adulti”, e decostruire quella società che sembra voler essere solo giustizialista e alla ricerca di un colpevole morale, conclude la Dott.ssa Covelli.

Particolarmente interessanti gli interventi di Gianluca Guida, Direttore I. P. M. Nisida, e Giovanni Savino, Presidente Coop. “Il Tappeto di Iqbal”, testimoni diretti delle difficoltà e dei limiti della legge sui minori e della distanza delle istituzioni dalle problematiche reali dei minori in penitenziario e nei quartieri a rischio.

Tutti i relatori sottolineano l’importanza della formazione e dell’educazione, un ruolo da cui dovremmo smettere di sottrarci se vogliamo scrivere la storia.

Non stiamo scrivendo la storia, la stiamo cancellando. Ci lamentiamo del futuro e non costruiamo nel presente. Costruiamo muri e alziamo divisioni interne ed esterne invece di riconoscerci nell’altro. Facciamo i “moderni” ma siamo più antichi degli uomini preistorici che hanno avuto il coraggio, la forza e la genialità di sfruttare anche il caso per il benessere delle comunità. Continuiamo a pensare in modo disgregato, come se le parole “collettività” e “comunità” fossero solo nuovi termini per definire l’obbrobrio e l’orrore. Continuiamo a nascondere l’uomo inedito che potrebbe darci le risposte che non abbiamo e ci occupiamo solo di un uomo edito il cui segno è solo quello dello stereotipo più comune di vendita del sé al dio denaro. L’idea dell’uomo planetario ci sconvolge e l’immagine che si ripete di noi stessi è quella di un uomo smarrito che ha perso il senso e il senno e che non cerca più se non nei limiti del proprio interesse che si è trasformato nella prigione che facciamo finta di non vedere.

Basterebbe non chiedersi che mondo lasciamo ai nostri figli? – e chiedersi invece che figli lasciamo al nostro mondo?

di Loredana De Vita

 

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Redazione Desk

Questo articolo è stato scritto dalla redazione di Road Tv Italia. La web tv libera, indipendente, fatta dalla gente e con la gente.

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