di Sara Di Somma
Finalmente in Campania qualcosa si muove: la terra che nasconde la ragione per cui qui si muore di tumore più che in ogni altra regione d’Italia è stata smossa ieri dalle forze dell’ordine, rivelando una parte dei suoi segreti. Gli scavi, iniziati a Casal di Principe, in via Sondrio – che proseguiranno anche nei prossimi giorni – hanno restituito i loro frutti amari. Almeno in parte.
Le ruspe, infatti, hanno raggiunto una profondità di 9 metri e dissotterrato fusti contenenti scorie di lavorazione industriale, fanghi e materiale ferroso. Giunti ai 5 metri di profondità i tecnici hanno effettuato rilievi su campioni di terreno che, finora, non hanno evidenziato tracce di radioattività; tuttavia, oggi, le ruspe scenderanno oltre i 10 metri, più vicino alle falde acquifere, per verificare se i fusti ritrovati nel pomeriggio di ieri, risalenti a circa vent’anni fa non siano gli unici ad essere stati celati in via Sondrio.
Il terreno apparterrebbe, secondo le forze dell’ordine, ad una società immobiliare e sarebbe stato indicato da un collaboratore di giustizia come luogo di sversamento illecito di rifiuti tossici. Non si tratterebbe, però, di Carmine Schiavone – che solo poche settimane fa aveva rivelato di conoscere i siti utilizzati per lo sversamento nell’agro aversano e nel basso Lazio – ma di un altro membro della cosca Schiavone, arrestato di recente con i figli del boss Sandokan.
Naturalmente si tratta di ipotesi, ma ai cittadini poco importa che sia rivelata la fonte delle notizie, è fondamentale sapere che qualcosa inizia a muoversi dopo anni di lotta, manifestazioni, dibattiti e sofferenze che non hanno mai sconfinato nell’amara rassegnazione. Molti curiosi sono andati in loco ad assistere allo scavo, allontanate poi dai militari preposti al controllo della zona. Don Patriciello, presente con il comitato “Terra dei fuochi e dei veleni”, ha dichiarato alla stampa di voler essere presente: “Non ci fidiamo dell’Arpac. Ci tengono lontano, non ci fanno vedere cosa c’è lì sotto. Vogliamo chiedere alla Procura della Repubblica di ammettere un tecnico di fiducia alle operazioni che stanno eseguendo i reparti speciali di Carabinieri, Vigili del fuoco e Arpac. Chiedere di poter prelevare un campione dei fanghi trovati per analizzarlo in un nostro laboratorio di fiducia”. Non nasconde la paura, alimentata da anni di silenzi istituzionali, che i fusti appena riemersi siano soltanto la punta dell’iceberg di ciò che la nostra terra è costretta a celare.
Il dott. Alessandro Gatto (referente del settore inquinamento e rifiuti del WWF agro aversano-Napoli nord e lit. domizio), nel richiedere che i risultati delle analisi effettuate in questi giorni siano rese pubbliche, ha espresso serie preoccupazioni relative all’eventuale contaminazione delle falde acquifere, auspicando l’inizio a breve termine di un processo di bonifica parziale per fitoestrazione.
Intanto, con la conferma dell’avvelenamento del territorio ottenuta dagli scavi, risuona ancor di più la voce della protesta che richiede giustizia: i social network stanno facendo rimbalzare la notizia, maledicendo gli autori di questo scempio, urlando che i responsabili paghino per ciò che hanno fatto alla Campania, chiedendo di poter conoscere la verità. Anche se tutti ne abbiamo paura.
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