La recente morte di Raffaele Cutolo deve diventare una occasione per una ulteriore riflessione circa una pagina di storia criminale che questa persona ha rappresentato per la città di Napoli e per l’ intero Paese, evitando celebrazioni del potere camorristico e sterili insulti nei confronti del menzionato boss.
Intanto, non dimentichiamo che il romanzo di sangue scritto da Raffaele Cutolo era terminato già da un pezzo, da molto prima che cessasse di vivere. Egli era stato condannato a diversi ergastoli e stava scontando, da circa quaranta anni, la sua pena in carcere con relativa applicazione del 41 bis.
Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva recentemente respinto la richiesta di Cutolo di curarsi fuori dal carcere, in quanto “nonostante l’ età e la perdurante detenzione” il boss rappresentava, secondo il citato Tribunale di Sorveglianza, “un simbolo per tutti quei gruppi criminali che continuano a richiamarsi al suo nome”.
Comunque, anche per un boss come Cutolo, il cuore del provvedimento giudiziario teneva a precisare che le cure di cui abbisognava Cutolo erano compatibili con la detenzione, quindi non smentendo la natura e la finalità delle pene detentive per il nostro Stato democratico.
Cutolo è stato capo di una potente organizzazione camorristica, responsabile di efferati omicidi, che è stato arrestato, processato e condannato. Infatti, aveva creato un sistema criminale completamente gerarchico a lui asservito illimitatamente.
Un sistema criminale che gestiva anche una sorta di “welfare camorristico” per assistere le famiglie degli affiliati, in linea con il modello organizzativo verticale della mafia siciliana: spietato e con sostegni economici di vario genere a favore dei propri sodali che ne avevano bisogno.
Una scelta non di poco conto, perché si contrapponeva ai cutoliani un altro cartello criminale che, in quanto ad efferatezza, aveva poco da invidiare.
Il principale, anche se non esclusivo, motivo della feroce e sanguinaria contrapposizione dei due gruppi criminali era il controllo degli appalti.
Non è un caso che, a questo scopo, Cutolo puntasse a dominare la politica uccidendo coloro che non ci stavano e, mutuando anche in questo Cosa Nostra, tendeva al controllo del territorio che, tra l’ altro, è una tipica caratteristica delle mafie: la sottrazione alla sovranità dello Stato di ampie fette del territorio nazionale. Infatti, l’ estorsione ha una finalità soprattutto simbolica esprimendo una forma di autorità alternativa a quella dello Stato.
Ma un’ altra capacità criminale di Cutolo che va certamente evidenziata è quella di essere riuscito, come nessun altro boss, a trasformare il carcere in un luogo di reclutamento e di formazione delinquenziale.
Quando all’ inizio accennavo alle riflessioni da fare, mi riferivo soprattutto a conoscere e a valutare tutti i meccanismi sociali, economici e politici che favoriscono ascese criminali come quelle di Cutolo.
Alla fine lo Stato ha vinto, ma come è stato possibile che da Cutolo, come è stato accertato storicamente e processualmente, si siano recati nel 1981 degli agenti dei servizi segreti per chiedergli di intervenire presso le Brigate Rosse al fine di liberare Ciro Cirillo, assessore regionale della Democrazia Cristiana rapito dai terroristi?
Evidentemente, Cirillo doveva essere assolutamente liberato, a qualsiasi costo, se si tiene conto che appena tre anni prima si era stati completamente intransigenti circa un eventuale rilascio di Aldo Moro dalle stesse B.R..
Voglio, però, sottolineare che anche nella vicenda Cirillo le Brigate Rosse hanno, di fatto, operato come forza eversiva reazionaria mettendo a disposizione la propria forza criminale a favore dei potenti occulti di quel momento storico.
Basti pensare che, da un punto di vista storico, è stato appurato che l’omicidio del Vicequestore Antonio Ammaturo rivendicato dai terroristi rossi era una delle contropartite richieste durante le trattative per il rilascio di Cirillo.
Quel valoroso funzionario di Polizia era considerato molto pericoloso sia per le B.R. che per la camorra.
La trattativa Cirillo è un’ altro gravissimo segmento di una lunga storia di scellerati rapporti tra mafie e pezzi del mondo politico – istituzionale che costituisce uno dei diversi motivi per i quali, diversamente da altre forme criminali politiche e non, non si riescono a debellare definitivamente da quasi due secoli le organizzazioni mafiose.
Queste ultime sono nate come residuo feudale e sono riuscite a sopravvivere a tutti i processi di modernizzazione, anzi ne sono risultate rafforzate, se si escludono Cosa Nostra e i Casalesi, disarticolati solo negli ultimi decenni grazie alla costruzione di una coscienza antimafiosa che ha attraversato trasversalmente le Istituzioni e la società civile.
Affrontare le mafie comprende sia l’ argine alle espressioni di pura e brutale violenza, ma anche l’ individuazione delle relazioni che le mafie hanno storicamente dimostrato di riuscire a concretizzare.
Inoltre, il radicamento di questi poteri criminali in aree geografiche diverse da quelle che le hanno partorite dimostra inequivocabilmente che non regge il binomio “arretratezza/mafia”, ma fa emergere l’enorme responsabilità dell’imprenditoria del Nord che, pur di fare affari, non va per il sottile.
Un certo snobbismo intellettuale ha sempre pensato che studiare la storia del nostro Paese potesse fare a meno della storia delle mafie; che esse fossero solo un dettaglio criminale nei grandi processi storici. Non è così. La permanenza dei fenomeni di cui abbiamo parlato dimostra che essi hanno svolto, di volta in volta, un ruolo nelle dinamiche economiche e politiche.
La storia criminale di Cutolo non può esaurirsi nelle sue gesta criminali. Egli ha senza alcun dubbio commesso e ordinato di commettere una enorme serie di omicidi e di violenze, ma è soprattutto quello che ruotava intorno a lui che spiega la costruzione del suo potere del male e rispetto al quale, ad ogni livello, ci si deve chiedere quanto se ne è, poco o tanto, responsabili.
Una riflessione da fare soprattutto in relazione a quelli che potremmo definire gli eredi di Cutolo, i quali, pur essendo non uniti come ai tempi “don Raffaele”, conservano in pieno una estrema pericolosità da tutti i punti di vista.
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