Rinascita post Covid o ripresa pre Covid

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di Vincenzo Vacca.

Col pensiero, proviamo a tornare al periodo del confinamento stabilito nel nostro Paese dovuto alla pandemia Covid 19. Ai sentimenti diffusi, alle paure per le nostre vite e a quelle dei nostri cari. Agli applausi che facevamo dalle nostre finestre e dai nostri balconi alle ambulanze e alle auto delle Forze di polizia.

Sui social venivano sistematicamente postati pensieri virtuosissimi e/o affermazioni del tipo “quando tutto passerà, nulla potrà essere come prima”. Tanti erano arrivati addirittura a chiedersi se un evasore fiscale avesse o meno lo stesso diritto a essere curato, se colpito dal coronavirus, al pari di uno che, invece, le tasse le pagava.
Questa domanda trovava sempre più spazio nell’ apprendere che i tagli fatti alla sanità pubblica negli ultimi vent’anni erano tali da inficiare la possibilità da parte del personale sanitario di assistere al meglio le persone infette da quella terribile malattia.
Purtroppo, tali carenze sono state spesso sopperite con il sacrificio personale, spesso delle proprie vite, da parte di medici e infermieri.
Invece, che noi abbiamo il più alto tasso di evasione ed elusione fiscale di tutta Europa lo sapevamo già, e questo, naturalmente, influisce anche sul depotenziamento della menzionata sanità pubblica come su tutti i servizi sociali che uno Stato democratico deve garantire: scuole, sicurezza, misure di sostegno per l’occupazione, etc..
Una evasione fiscale e contributiva così alte sono una costante del nostro costume nazionale. Un vero e proprio disvalore tanto diffuso quanto ipocritamente giustificato in tanti modi, ma che, in realtà, è segno di considerare lo Stato come una entità lontana, estranea, quasi nemica, ma se siamo di fronte a una emergenza, pretendiamo che lo Stato intervenga nei migliori dei modi.
Questa sorta di “diserzione” è sempre accompagnata dal disinteresse in ordine alle scelte che si fanno per la gestione dello Stato come se potessimo tranquillamente vivere in una oasi che, quindi, ci permetterebbe di vivere una vita parallela rispetto alle decisioni di carattere pubblico.
Lo stesso nobile sentimento della solidarietà deve tradursi in scelte politiche istituzionali per ottenere il massimo impatto possibile sui ceti sociali svantaggiati.
La differenza sostanziale tra diritto all’assistenza e carità sta tutta qui. In una concezione moderna di sostenimento a chi vive temporaneamente o meno una situazione economica di difficoltà, la risposta deve avere una dimensione pubblica in punta di diritto e non essere solo sperare al “buon cuore” di qualcuno.
Le iniziative di solidarietà dei cittadini ben vengano, ma questo non devono mai far venire meno l’impegno del legislatore come stabilito dall’ art. 3 della Costituzione: “… È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’ uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Ma la solidarietà a cui faccio riferimento non è solo qualcosa che viene calata dall’ alto, retaggio di una mentalità da sudditanza e non da cittadinanza.
In questo caso è da intendersi in una solidarietà di carattere orizzontale che non può non esprimersi innanzitutto nell’adempiere con puntualità e correttezza al dovere di contribuire, in modo progressivo, alle spese dello Stato.
Sono del parere che solo se onoriamo  questo impegno, possiamo e dobbiamo pretendere che si provveda a diminuire le diseguaglianze sociali e a garantire i servizi pubblici che per definizione non possono rientrare in un criterio aziendalistico. Vanno preservati da un criterio economicistico. Per troppi anni, anche per questi servizi abbiamo ceduto a una logica iperliberista.
Non a caso, secondo molti costituzionalisti, l’ ideologia neoliberista, perché di ideologia si tratta, non è assolutamente compatibile con la nostra Costituzione e, in generale, con il costituzionalismo moderno.
Leggendo alcuni post su Facebook o ascoltando alcune conversazioni, ho notato che evidenziavano episodi, non si sa se veri o presunti, nel corso dei quali sarebbero stati chiamati i numeri di emergenza delle Forze di polizia senza ricevere risposta o che, dopo la chiamata al 112, passava troppo tempo prima che la pattuglia intervenisse.
Ma questa giusta indignazione, se non vuole essere sterile, fatta solo per corroborare il proprio intimo convincimento della nostra estraneità allo Stato, deve fare un salto di qualità ovvero prestare ascolto a chi da anni solleva il problema che il personale delle Forze dell’ordine diminuisce sempre di più e che l’età media dello stesso è alta. Anche per il comparto sicurezza, al pari di tutti gli altri servizi pubblici, si pone da anni un problema di svecchiamento e di un forte aumento dei rispettivi personali. Bisogna rilanciare un piano di assunzioni nel pubblico impiego.
Infatti, questo è rimasto vittima di una certa idea imperante negli ultimi decenni, secondo la quale il concetto di “pubblico” è sinonimo di inefficienza, mentre quello di “privato” è sinonimo di dinamismo.
Questo senso comune ha così preso piede che ha, almeno in parte, privatizzato anche la sicurezza. Da qui, la sciagurata legge sulla legittima difesa voluta dal precedente Governo e non ancora abolita o almeno modificata.
Ho iniziato questo articolo facendo riferimento alla serie di propositi che imperversavano durante la fase acuta della pandemia del Covid 19.
Tanti, in buona e cattiva fede, pensavano che ne saremmo usciti migliori.
È indiscutibile che due mesi circa di isolamento non possono costituire un motivo di profondo rinnovamento di costumi nazionali che hanno una lungo e secolare radicamento in un popolo.
Io penso che la parte degli italiani già sensibili e operosi in tal senso circa i corportamenti solidali prima dell’isolamento hanno rafforzato ulteriormente questi convincimenti, mentre gli altri che già prima del distanziamento sociale erano indifferenti alle tematiche che ho provato a esporre,  hanno aggiunto altra indifferenza, secondo la logica “del si salvi chi può”.
In tutte e due i casi, con varie sfumature.
Con astuzie varie, si è tornato in modo diffuso a non emettere i documenti fiscali, in particolare, nei confronti dei consumatori finali.
Per quanto riguarda il personale medico e paramedico, che applaudivamo e definivamo eroe durante l’emergenza coronavirus, abbiamo già avuto degli episodi di violenza nei loro confronti.
L’ altra sera, a Napoli, a piazza Bellini, abbiamo avuto un altro esempio di infantilismo politico. Atteggiamenti che costituisco plateali esempi di narcisismo, quali chiassose movida indifferenti a chi abita in quella zona, sono stati scambiati per dissidenza politica. A tanti piace atteggiarsi a ” guevaristi alla pizza col pomodoro”, ma hanno sbagliato epoca e luogo.  Dodici appartenenti alla Polizia contusi e una serie di video che, sulla base delle dichiarazioni di chi li ha consegnati alla Questura, dimostrano che i poliziotti sono stati aggrediti.
In un contesto di garanzie democratiche, figlie di tante lotte e di tanti lutti, è facile voler apparire “vittima di repressione”.
Chi scrive non ha mai fatto sconti a nessuno a fronte di abusi da qualsiasi parte perpetrati, ma l’episodio avvenuto a Napoli di cui sto scrivendo, se non ci fossero stati i feriti, farebbe davvero ridere. È solo un episodio che esprime una atavica, tanto generica quanto diffusa, avversione alle Forze di polizia. Altro atteggiamento che vuole essere antistatalista.
Con il graduale superamento della fase emergenziale del Covid 19, dovremmo tutti impegnarci, e non è una strada in discesa, a rinascere, mettendo in discussione gli stili di vita per Covid. Quindi, non un ritorno a quella che è stata definita la normalità, ma una rinascita. Dovremmo costruire uno sguardo collettivo, una visione d’ insieme e mettere a frutto le speranze maturate quando eravamo tutti obbligatoriamente a casa.
Intanto, riscoprire l’ impegno civile e/o politico. I problemi di una comunità si affrontano non solo con la denuncia, con una indistinta indignazione, ma con la partecipazione alla vita democratica.
Una partecipazione che può esprimersi in tanti modi, non necessariamente con la militanza in un partito.
Associazioni, volontariato, gruppi di ascolto di ogni genere, sindacati. In poche parole, riattivare gli organismi intermedi di una democrazia, ma occorre riscoprire il “noi” e frenare l'”io”.
La libertà non è una forma di proprietà privata, ma trova un suo senso se esercitata con il concorso di tanti per un progetto condiviso.
Lo dobbiamo soprattutto per chi verrà dopo di noi.