Rocco Hunt: storia di un rapper napoletano

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di Claudio Albero

Se c’è un genere musicale che, sin dalle sue origini, ha saputo catturare l’attenzione, soprattutto dei giovani, senza mai passare di moda, quello è senza dubbio il rap. Questa corrente musicale, introdotta in Italia negli anni ’80 da Jovanotti, vero e proprio precursore del “canto rap”, ha avuto la forza di creare, negli anni ’90, una scena underground molto fiorente, in cui artisti come Articolo 31, Sangue Misto, Frankie HI NRG MC, Bassi Maestro, Kaos One, Fabri Fibra, hanno mosso i primi passi prima di affermarsi.

Nonostante il rap italiano sia, per certi aspetti, molto diverso da quello di matrice americana, c’è una caratteristica comune: sono entrambi fioriti nelle zone maggiormente degradate, dal punto di vista sociale, dei paesi menzionati. Così come i più importanti rapper americani, da Notorious B.I.G. a 2Pac, da Ice T a Eminem, provenivano dal “ghetto”, allo stesso modo, in Italia, un gran numero di artisti provenivano dalle scene milanesi e napoletane, radicate nei quartieri di periferia, ugualmente poveri e disagiati.

Soprattutto negli ultimi anni, il rap italiano sta conoscendo un momento di successo commerciale, frutto anche di contaminazioni pop e di un “ammorbidimento” dei testi, che, soprattutto nei primi anni, trattavano temi sociali scomodi e difficili da affrontare. In questo modo il genere ha acquisito un numero di fan sempre maggiore, diventando più “mainstream”, sia da un punto di vista musicale, che da un punto di vista estetico.

Non è il caso di Rocco Hunt, al secolo Rocco Pagliarulo, rapper nato a Salerno, dell’età di 19 anni, che, quest’anno ha deciso di partecipare al Festival di Sanremo, nella categoria “giovani”, con il suo brano “Nu Juorno Buono”.

La vocazione artistica di Rocco si manifesta all’età di appena 11 anni, ascoltando una musicassetta dei Cafardo, una crew di rapper a cui è tutto molto legato, e, per inseguire il suo sogno, accetta di svolgere i lavori più umili.

Prima di firmare con la Sony, una vera e propria “major” a livello discografico, il rapper campano ha pubblicato i lavori “Poeta Urbano” e “Spiraglio di Periferia”. Quest’ultimo album, nonostante sia da considerarsi un disco “indipendente”, è diventato un vero e proprio oggetto di culto, in quanto contiene collaborazioni di primissimo rilievo con altri artisti della scena rap napoletana. Sono presenti “O mar e ‘o Sole”, registrata con Clementino, “Nun c’ sta paragon”  e “Quante cose” con la partecipazione di Ntò, due artisti di spicco della terra partenopea.

La prima cosa che si nota, osservando il giovanissimo rapper, è la netta differenza che vi è tra lui e  tanti altri artisti che popolano la scena italiana. Rocco Hunt ha un look semplice, non indossa abiti firmati o appariscenti, non gira videoclip in cui guida macchine di lusso e non sfoggia monili d’oro tempestati di brillanti, tanto cari al gangsta rap quanto appariscenti e pacchiani. L’unico accessorio che spicca nel suo vestiario sono degli occhiali con una evidente montatura nera, che lo accomunano a Frankie HI NRG MC, anche lui concorrente al festival di Sanremo, ma nella categoria “Big”.

Inoltre, a differenza di molti suoi illustri colleghi, Rocco Hunt ha deciso di non “commercializzarsi”, continuando a trattare, nei suoi testi, i problemi che affliggono la sua terra. Proprio nel pezzo che accompagnerà la sua avventura al Teatro Ariston, il rapper salernitano affronta tematiche forti e scottanti come la terra dei fuochi, il problema della disoccupazione, dell’emigrazione, accompagnate, però dalla speranza di un cambiamento.

L’importanza dei temi trattati lo rendono un artista decisamente controcorrente, un voce fuori dal coro rispetto, che ha poco in comune con la musica pop commerciale, ma che riprende i valori “old school” cari a molti artisti partenopei, anche non appartenenti alla scena rap: dai 99 Posse ai Sangue Mostro, fino ad arrivare a Pino Daniele e James Senese, dei veri e propri pezzi di storia della musica napoletana, con cui Rocco Hunt, in una recente intervista, desidererebbe collaborare.

In attesa di capire quale sarà l’esito dell’avventura di Rocco Hunt in terra sanremese, non possiamo che augurare un grosso in bocca al lupo a chi, con la sua musica, riesce a parlare di una terra, la nostra terra, affrontandone i problemi in maniera diretta, sincera e senza giri di parole, proprio perché quei drammi li ha vissuti sulla sua pelle.