“I’m scared!… I’m scared!“, ho paura. Sono le ultime parole di Ronald Greene, un afroamericano di 49 anni, mentre un gruppo di poliziotti lo prende a calci, pugni, lo trascina sanguinante per terra continuando a colpirlo con un taser. Di lì a poco l’uomo, che era disarmato, muore. Siamo in Louisiana, lo stato del sud degli Usa con una triste storia alle spalle di linciaggi. Le immagini shock risalgono al 2019, riprese dalla body cam di uno dei poliziotti dopo un inseguimento ad alta velocità. Per due anni le autorità si sono rifiutate di renderle pubbliche, ma ora è stata l’Associated Press ad ottenerle.
Il drammatico episodio, accaduto nei sobborghi della città di Monroe, è da due anni al centro di un’indagine federale per verificare l’esistenza di una violazione dei diritti civili. Ma a differenza di altri casi in cui le immagini delle body cam degli agenti vengono rese pubbliche dopo poco tempo, le autorità della Louisiana hanno secretato il video di 46 minuti che riguarda il tentativo di arresto e la morte di Ronald Greene. Il caso è stato coperto prima col racconto che l’afroamericano era morto dopo essersi schiantato con la sua auto contro un albero, poi ammettendo una colluttazione seguita dal decesso in ospedale.
Le immagini ora mostrano l’inaudita violenza degli agenti dopo che Greene era sceso dalla sua automobile ed era ormai stato fermato. L’uomo viene insultato, picchiato a sangue e intontito col taser mentre implora “Mi dispiace… sono un vostro fratello.. ho paura..“. Poi, una volta ammanettato, per oltre nove minuti l’uomo insanguinato viene lasciato agonizzante faccia a terra, incustodito, senza che nessuno gli presti assistenza. “Spero che questo figlio di puttana non abbia l’Aids“, si sente dire uno degli agenti mentre con un fazzoletto si pulisce le mani sporche di sangue.
“Lo hanno assassinato, non ha avuto scampo“, l’urlo della madre di Ronald Greene, il cui caso ricorda in parte quello di George Floyd e rischia di scatenare una nuova ondata di proteste. (Derek Chauvin colpevole per tutti i capi d’accusa)
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