La ventiquattrenne Benedetta Santoro ha discusso la tesi di laurea e un attimo dopo è corsa in ospedale per permettere alla sua bambina, Vittoria, di venire al mondo.
Oggi tutti ne parlano come fosse un’ eroina.
E no, non è di certo questo il problema.
Perché, il grande sforzo di Benedetta è sicuramente degno di nota, del resto non deve essere stato facile discutere la tesi mentre le contrazioni diventavano sempre più forti.
Il problema è che questa neomamma non è l’ unica persona ad aver affrontato una situazione simile, prima di lei ce ne sono state tante altre che si sono ritrovate a dover discutere la tesi in condizioni di salute anche peggiori di quelle che l’ hanno vista protagonista, ma nessuno ne ha parlato, nessuno le ha rese eroine.
Eppure, lo sono state anche loro.
Lo siamo un pó tutti in realtà, per comprenderlo basta pensare al fatto che, purtroppo, la vita di nessuno è immune dalla sofferenza, chi più chi meno, tutti abbiamo dovuto fare i conti con quest’ultima e far riferimento a quella riserva di forza che emerge quando la vita decide di metterci alla prova, per andare avanti.
Quindi, non ci si può non chiedere per quale motivo, quando è toccato a noi o a qualcun altro affrontare certe situazioni nessuno ne abbia parlato.
Cosa ha in più Benedetta rispetto ad un’altra persona che si è ritrovata nella sua stessa situazione, che oggi spinge tutti a parlarne? Cosa ha fatto di speciale?
Nulla.
Ebbene si, che piaccia o no è questa la verità.
Benedetta non ha fatto nulla di speciale, nulla che qualcun’altra prima di lei non abbia fatto.
Ha fatto semplicemente una cosa che non avrebbe potuto rimandare.
La bambina in grembo non sarebbe rimasta un minuto di più e la tesi di laurea non avrebbe potuto rimandarla, perché non ne sarebbe valsa la pena di perdere un anno per partorire.
Dunque, la neomamma non è un’ eroina come tutti vogliono far credere sia. È una ragazza come tante, una madre come tante che in un certo momento della vita non ha avuto altra scelta e ha dovuto fare qualche sacrificio in più.
Ed è su questo che dovremmo riflettere.
Dovremmo capire quanto siamo strani, a volte.
O meglio, quanto strana è questa nostra abitudine di trasformare cose normali in straordinarie.
Ben vengano storie come quella di Benedetta, ma a patto che non trasformino in straordinario ciò che non lo è e ci facciano capire, invece, quanto bella sia la normalità e soprattutto quanto doveroso sia ridimensionare certe situazioni e le persone che ne sono protagoniste.
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