Il Vesuvio è uno dei vulcani più interessanti del pianeta. Il gigante subdolo all’ombra del quale viviamo da millenni non smette di affascinare e preoccupare studiosi e persone comuni. Ma non sempre quello che si dice di lui è vero.
Che il Vesuvio prima o poi erutterà, è una certezza. Che lo farà in maniera esplosiva, è una eventualità abbastanza probabile. Che la Vesuviofobia dilaghi, periodicamente, tra gli abitanti di Napoli e Campania, e non solo, è pure questa una certezza. Ma che tutti i timori e le paure che si raccolgono sotto l’etichetta di “Vesuviofobia” siano fondati, questa non è una certezza. Né tantomeno la verità. Cerchiamo di fare chiarezza su quali sono i pericoli reali a cui il nostro vulcanico gigante ci espone.
In questi giorni si è riacceso il dibattito sull’allerta Vesuvio, che come sempre tiene banco nelle pagine di cronaca con titoloni catastrofici: “Se il Vesuvio esplode sarà l’Apocalisse” “A rischio la vita di 3 milioni di persone” e così via. Qualcuno, sull’onda dell’agitazione, ha tirato in ballo anche i Campi Flegrei, citando il parere di un vasto e variegato parterre di esperti che, giustamente, a domanda: che danno potrebbe fare un’eruzione congiunta di Vesuvio e Campi Flegrei?, rispondono (non possono fare altrimenti): il danno sarebbe incalcolabile.
Ebbene sì: se Vesuvio e crateri della zona Flegrea che, a quanto pare, sono collegati da un’unica camera magmatica, decidessero, un bel giorno, di deflagrare tutti insieme, l’intera Campania salterebbe in aria. Ripercussioni si avrebbero addirittura fuori la regione. Tutti noi moriremmo o saremmo costretti quantomeno a evacuare. Perderemmo tutto.
Questo rischio è davvero plausibile? Certo. Come lo è la possibilità (a occhio e croce) che la Terra si scontri con un asteroide. L’ultima eruzione di questo tipo, come si può leggere dal sito dell’osservatorio vesuviano, è chiamata “grande eruzione flegrea dell’Ignimbrite Campana”, e si è verificata circa 37mila anni fa. All’epoca, gran parte della Campania fu ricoperta da una spessa coltre di tufi. Un discorso diverso invece va fatto per quanto riguarda le eruzioni, pure molto violente, cosiddette pliniane. L’ultima risale al 79 d.C., ed è considerata l’eruzione del Vesuvio più violenta tra quelle storicamente documentate (che comunque non raggiunse Napoli), quella in cui rimasero “sepolte” Pompei, Ercolano e Oplonti, attuale Torre Annunziata. A raccontarla fu, appunto, Plinio il Giovane (da lui il tipo di eruzione prende il nome) in una lettera a Tacito. Il rischio di un’eruzione pliniana sembra di certo più concreto dello scenario apocalittico cui andremmo incontro se a eruttare fossero anche i Campi Flegrei.
Ovviamente, le conseguenze di un’eruzione pliniana sarebbero ugualmente catastrofiche: si calcola che oltre un milione di persone risieda nell’area interessata da lava e colate piroclastiche, che quindi rimarrebbe sepolta da una eventuale eruzione. 129 sono i comuni campani in aree ad alto rischio, 360 in tutto quelli in aree a rischio medio. Un milione di persone vive in quella che è considerata la “zona rossa”, che recentemente è stata ampliata anche ai quartieri napoletani di San Giovanni a Teduccio, Ponticelli e Barra.
Purtroppo, come (con quale intensità) e quando si verificherà l’eruzione, non è dato sapere. Alcuni esperti, in questi giorni, sottolineano come le scosse di terremoto che si sono verificate negli ultimi mesi in Campania potrebbero essere i primi segnali di un “movimento” magmatico. A preoccupare è anche il fatto che da troppo tempo il Vesuvio non dà segni di vita. Se si guarda alle eruzioni recenti (si fa per dire: a partire dalla tragica eruzione del 1631 fino a quella “leggera” del 1944), avvenute tutte a condotto aperto, quindi libero dal tappo roccioso, è infatti possibile isolare una sorta di ciclo eruttivo, dai tempi abbastanza precisi, per cui a una eruzione di intensità variabile, come quelle verificatesi nel 1631, 1872 e 1906, seguivano una serie di eruzioni minori (1805, 1929) intervallate da un periodo di quiescenza della durata dai 3 ai 7 anni. Secondo questo ciclo, e considerato che l’ultima eruzione si è verificata nel 1944, il Vesuvio sarebbe fortemente in ritardo nella ripresa del suo ciclo eruttivo. Per questo è attentamente monitorato dai vulcanologi.
Veniamo ora alle probabilità dei danni: secondo le statistiche, nonostante questa prolungata quiescenza, è poco probabile che il Vesuvio esploda con un’eruzione pliniana. L’intensità più “attesa” per la prossima eruzione è quella media, di VEI (Indice Esplosività Vulcanica) 3, ovvero un’eruzione stromboliana violenta. La possibilità che si verifichi un’eruzione pliniana è stimata intorno all’1%, perché secondo i dati geofisici non è presente, al di sotto del vulcano, una camera magmatica con un volume sufficiente a generare un’eruzione così violenta. Il piano di evacuazione e l’individuazione delle zone rosse sono state pensate in base a uno scenario leggermente più grave rispetto a quello “atteso”: quello di un’eruzione di intensità 4, ovvero subplianiana, che ha il 30% di possibilità di verificarsi.
Ogni volta che il Vesuvio ha eruttato, nei mesi e addirittura negli anni precedenti si sono verificati una serie di eventi “premonitori” (piccole scosse di terremoto, rigonfiamento del suolo, prosciugamento delle fonti) che lasciavano presupporre un’eruzione. Nel caso in cui il Vesuvio dovesse “risvegliarsi”, quindi, ce ne accorgeremmo. Il problema non sarebbe quello, ma un altro: dove andremmo? Dove andrebbero le 900mila e più persone che attualmente abitano alle pendici del vulcano? Questo è il vero problema, è questo il vero allarme. Non quello di una Apocalisse eruttiva senza precedenti (che è abbastanza improbabile che si verifichi).
Questo è il parere, e la preoccupazione, espressa anche da Francesco Peduto, presidente dell’ordine dei Geologi della Campania, in occasione della giornata sulla riduzione dei disastri naturali organizzata dall’Ordine Nazionale dei Geologi. “Il Vesuvio, per ora, gode di ottima salute” ha detto Peduto. “Per questo possiamo parlare con serenità delle cose che non vanno”. A partire dalle falle nel piano di emergenza, che evidenziano la carenza di adeguate vie di evacuazione nel caso di una eruzione improvvisa, in cui il magma raggiungerebbe velocemente (e si parla di minuti) le zone abitate alle pendici del vulcano, fino ad arrivare a progetti per il diradamento della popolazione in quelle aree. Nella zona vesuviana ci sono circa 900mila edifici pubblici, di cui oltre 4mila sono scuole, e 259 sono ospedali. E solo 3 su 7 sono costruite secondo criteri antisismici. Ma, in caso di eruzione, sono circa 2mln le persone da evacuare. Non solo i residenti nella zona rossa, ma anche quelli delle zone gialle, residenti a Napoli e nelle province di Avellino e Caserta. Dove andrebbero? E in così poco tempo? Questa è la reale preoccupazione: se non si “sfoltisce” la densità abitativa di quelle zone, il rischio, purtroppo molto concreto, è che l’eruzione del Vesuvio, annunciata o meno, prevista o meno, si porti via con sé le vite di tutti coloro che ne abitano le falde. Questa, e non quella di un’eruzione senza precedenti, sarebbe la vera Apocalisse, la vera catastrofe. Una catastrofe provocata non dalla violenza esplosiva della natura, ma dalla mano incauta e malaccorta dell’uomo.
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