Dietro la vittoria dell’oro olimpico da parte delle magnifiche pallavoliste del team femminile italiano, ci sono storie belle e interessanti, perché vere e complesse. Come quella della piccola Myriam Sylla Fatime, italiana di origini siciliane.
Suo padre Abdoulaye, emigrato in Italia dalla Costa d’Avorio in cerca di un futuro e di una vita migliore, è ospite con suo fratello prima a Bergamo dalla Caritas e poi, in cerca di una città più calda, a Palermo. Qui, in un periodo difficile con tantissimi sacrifici, durante una terribile grandinata viene soccorso dai due coniugi Paolo e Maria Rosaria. Avendone riconosciuto le qualità umane e professionali, la coppia successivamente gli offre lavoro nel bar che gestisce, permettendogli una stabilità economica ed esistenziale. L’uomo ritrova cosi’ fiducia e il senso dei propri sacrifici, riuscendo a far venire dalla Costa d’Avorio in Italia sua moglie Salimata (che a Palermo avrebbe dato alla luce Myriam nel ’95) e di ricongiungere cosi’ la famiglia e iniziare una nuova vita: il sogno di tanti migranti finalmente realizzato.
Myriam, figlia di questo sogno, trascorre felice i primi anni di vita nello storico quartiere di Ballaro’ e sulla spiaggia di Mondello, tra cannoli e granite, in quella Palermo crocevia di tante e diverse identità, culture e popolazioni.
Ecco perché, emozionata e grata, ricorda la sua Palermo di nonno Paolo e nonna Maria Rosaria (che è andata a salutare prima delle Olimpiadi) che hanno reso possibile la realizzazione di un sogno: “Quando nacqui io, queste due persone si affezionarono. È per questo che mi sento siciliana. A Palermo c’è il mio inizio ed è il luogo dei nonni adottivi. Ha sole, caldo, allegria: mi assomiglia”.
La sua famiglia successivamente si trasferisce al Nord dove Myriam studia e inizia a giocare a pallavolo in provincia di Lecco. E da li’ prosegue la sua carriera professionale sino all’oro olimpico.
La storia di Myriam e’ paradigmatica di tante storie complesse e talvolta problematiche, fatte di spostamenti, mescolanza e integrazione.
Altrettanto si potrebbe dire delle sue giovani compagne Ekaterina Antropova nata in Islanda da genitori russi; di Sara Fahr cresciuta nell’isola d’Elba e figlia di uno skipper tedesco; di Paola Egonu, 25 anni nata a Cittadella da padre camionista nigeriano e madre infermiera del Benin.
E anche dell’allenatore Julio Velasco, di padre peruviano (morto quando Julio aveva solo 6 anni) e madre argentina, con un fratello desaparecido durante la repressione del regime di Pinochet negli anni ’70.
Storie di una squadra italiana definita “perfetta”, proprio perché mix di tante differenti identità che hanno messo le proprie peculiarità in comune con le altre, facendone il punto di forza del gruppo. Non tanti io, pur eccellenti, ma un collettivo coeso, un noi compatto.
Myriam e le altre compagne di squadra rappresentano un po’ lo specchio di una nuova Italia già esistente: un modello possibile di apertura all’altro, un orizzonte di presente e futuro senza muri, a cui tendere e con cui rapportarsi nel pensiero e nell’azione.
Come quei due semplici nonni palermitani di Myriam che con affetto hanno creduto e operato concretamente per l”integrazione di quella piccola e fragile famiglia migrante. E a cui guardare ammirati.
Si, perché in loro, come nelle ragazze azzurre della pallavolo, troviamo l’anelito a migliorare, il desiderio di superare quelle barriere e limiti culturali e antropologici che fanno immotivatamente distinguere tra “noi e loro”.
Riconoscersi in tantissimi in questa squadra (come hanno fatto gli oltre 10 milioni di italiani che hanno seguito in tv la finale tifando per le azzurre) mostra che l’Italia multietnica ha già da ora, nella sua complessità, significati e valori da comunicare. Un’Italia migliore di quella della ritrita narrazione dei media, bella perché impregnata di entusiasmo, serietà e sacrificio; ma anche di allegria, leggerezza e coraggio di sognare.
L’Italia già assomiglia un po’ a queste stupende ragazze, profondamente unite nella loro diversità.
È una realtà di cui divenire finalmente consapevoli e co-costruttori, gia’ descritta da Umberto Eco ormai vari anni fa: “L’Europa sarà un continente multirazziale o, se preferite, ‘ colorato’. Se vi piace, sarà così; e se non vi piace, sarà così lo stesso”.