Non poteva non commuoversi Paolo Sorrentino di fronte ai nove minuti di applausi scrosciati alla fine della proiezione del suo ‘E’ stato la mano di Dio’, il film sulla sua adolescenza ferita dalla morte improvvisa dei genitori e sulla potenza salvifica del cinema e del calcio, in concorso alla Mostra del cinema di Venezia.
“A un certo punto della vita si fanno i bilanci e adesso, a 50 anni ho l’età giusta per farlo – aveva spiegato nel pomeriggio nella conferenza stampa che ha preceduto la proiezione per il pubblico – Mi sono reso conto che c’era una stata una grande dose di amore nella mia vita da ragazzo insieme a una parte dolorosa e che si potevano declinare in un racconto cinematografico“.
Primo dei cinque film italiani a debuttare a Venezia, il film scritto e diretto dal regista premio Oscar e prodotto da The Apartment, società del gruppo Fremantle, il 24 novembre sarà al cinema, in sale selezionate e quindi dal 15 dicembre su Netflix.
Sorrentino a vent’anni da ‘L’uomo in più’ torna nella sua Napoli, per raccontare la sua storia più personale, piena di famiglia, sport e cinema, amore, perdita e destino. E’ il racconto di formazione di un ragazzo il suo alter ego Fabietto Schisa, interpretato da Filippo Scotti, che in conferenza stampa sfoggiava, come il regista che incarna in versione adolescenziale un orecchino all’orecchio sinistro.
I genitori del regista, nella finzione sono interpretati dal suo attore-musa Toni Servillo e da Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri è la zia Patrizia, la mano di Dio è ovviamente quella iconica di Maradona, il calciatore che ha segnato e anche in qualche modo salvato la vita di Sorrentino.
Sorrentino aveva solo 16 anni quando i suoi genitori morirono all’improvviso e in modo del tutto inaspettato, avvelenati dal monossido di carbonio per una fuga di gas nella casa di villeggiatura della famiglia. Lui avrebbe dovuto essere con loro quel fine settimana, se non avesse ottenuto il permesso di restare a casa da solo, per la prima volta nella sua vita, per vedere Maradona in trasferta con il Napoli.
Sorrentino arriva a percepire Maradona, un uomo già ammantato di divinità sul campo di calcio, come una forza che ha protetto la sua vita (“io credo in un potere semidivino di Maradona e ho il grande rammarico di non avergli fatto vedere il film” ha chiarito). E insieme al calcio del suo Napoli, il film racconta come anche il cinema sia diventato un elemento salvifico per lui, una distrazione dall’angoscia. Rifugiandosi nel fare film con grande passione, inizia infatti a lavorare come aiuto regista.
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Quasi tutti i momenti di ‘E’ stata la mano di Dio’, dal punto di vista stilistico più semplice rispetto ai film precedenti, perché, ha spiegato il premio Oscar “qui ero concentrato sui sentimenti” sono vissuti attraverso gli occhi del protagonista Fabietto, fino a quando il giovane non li chiude mentre sfreccia verso una nuova vita nella sequenza finale del film.
Non tutto quello che c’è nel film, ovviamente è realmente accaduto: “Un racconto cinematografico ha esigenze che prescindono dalla mia storia, la finzione si intreccia alla realtà, ma ciò che non doveva essere tradito erano i sentimenti e le emozioni provati quando ero ragazzo“.
Sorrentino aveva debuttato alla Mostra del cinema di Venezia venti anni fa , con ‘L’uomo in più’ e adesso, ha chiarito “vengo qui con lo spirito di un nuovo inizio, e un film semplice ed essenziale per cui si richiedeva una certa dose di coraggio“.
Sorrentino che si definisce “pauroso nella vita ma coraggioso nei film” ha sottolineato che il suo film ha richiesto più fatica nello scriverlo (inizialmente era una storia destinata ai figli e non al grande schermo) che nel farlo: “Le paure che avevo nell’affrontare temi così delicati sono quasi del tutto svanite nella quotidianità, compresa la scena della morte dei miei genitori”.
Sulla scelta del suo alter ego, Filippo Scotti ha spiegato: “Cercavo un attore bravo, e lui lo è, ma soprattutto mi sembrava che avesse la stessa timidezza e il senso di inadeguatezza che hanno caratterizzato i miei 17 anni“.
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