Sputtanapoli a Gallarate. “Ragazzi, andate a fare i volontari in Africa o a Napoli, dove i bambini vivono per strada“. Questa l’omelia del parroco indirizzata ai giovani per trovare la retta via. Accade a Gallarate, in provincia di Varese, durante il sermone della messa domenicale. Don Mauro, per i fedeli “il Don”, dopo il sermone contro l’aborto parte con la più classica delle filippiche sui giovani e sul loro futuro, corredandola di un’altrettanto classica (!) operazione di Sputtanapoli, con frasi razziste risalenti a dir poco al dopoguerra.
“Magari qualcuno di voi farà il volontario: in Africa, o a Napoli dove i bambini vivono per strada, o magari in Brasile”: queste le parole del parroco durante l’omelia domenicale pronunciata durante la messa a cui partecipavano tanti ragazzi e bambini che frequentano la chiesa. Un buon modo per aprire le menti dei fedeli paesani, giusto per alimentare ancor di più i pregiudizi verso i meridionali. A denunciare l’accaduto è il blog Identità Insorgenti, che ha raccolto la testimonianza di Antonia Mazzola, napoletana emigrata cinque anni fa a Gallarate, e presente nella chiesa della Madonna della Speranza.
“Domenica mattina, era a messa con i miei figli, di 7 e 9 anni. Da 5 anni vivo là, i miei piccoli sono nati a Napoli. Il parroco, nell’esortare i ragazzi a trovare la loro strada nella vita, è scivolato nella frase razzista incriminata: “Magari qualcuno di voi farà il volontario: in Africa, o a Napoli dove i bambini vivono per strada, o magari in Brasile”. Le parole di Don Mauro colpiscono l’emigrante Antonia, che si trattiene dunque alla fine della messa, cercando di contenere lo sconcerto e la rabbia. “Non volevo fare una scenata davanti ai bambini, ma la tentazione c’era”. “La messa finisce e lo aspetto per chiedergli almeno se è mai stato a Napoli – racconta Antonia. Mi dice di no. Ma poi si corregge: una volta sono stato a Sorrento, e fuori dalla Basilica c’erano i bimbi per strada che giocavano a pallone”.
Per “il Don” di Gallarate questo breve, sfocato ricordo è sufficiente per decidere che a Napoli i bambini vivono per strada; in condizioni tali da rendere addirittura necessario l’aiuto, tramite volontariato, dei ragazzotti della provincia di Varese, facendoli emigrare da Gallarate, dove per le temperature basse non si è abituati a “vivere per strada”, verso il caldo (e povero) Sud, come nel più becero degli stereotipi (fasulli, peraltro), in cui i bambini di Napoli vengono paragonati a quelli che vivono in Africa o nelle favelas brasiliane.
Ma a meravigliare e far arrabbiare Antonia è l‘aria di normalità dei fedeli. “La cosa che mi ha fatto più rabbia è che mentre Don Mauro pronunciava quelle parole, mi guardavo intorno… e mi rendevo conto che nessuno aveva colto quella frase come offensiva. Ma io ho cercato di non farla passare inosservata. Anche perché, a dire il vero, da questa parti mi capita spesso, con non poca amarezza, di sentir pronunciare come dispregiativo la parola terrone o, peggio, ricevere come un complimento la fatidica frase: “ma tu non sembri napoletana”.
A far arrabbiare ancor di più Antonia è l’indifferenza del Don nel momento in cui lei ha provato a suggerirgli parole come accoglienza e tolleranza. “Non voglio che i miei figli crescano nell’intolleranza e allora ho provato anche a suggerire, a Don Mauro, se magari non aveva più senso nel suo ruolo, fare un sermone su concetti come accoglienza e tolleranza. Anche per dare un segno concreto nei confronti dei tanti stranieri che vivono qui. Ma lui guardava già da un’altra parte…”
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