“Tra vent’anni moriranno tutti di tumore“. Era il 1997, ma Carmine Schiavone non era un profeta allora come non lo è adesso. Lui sapeva; sapeva dei traffici illegali di rifiuti tossici, dei fusti interrati nelle cave, del business della munnezza che per vent’anni ha foraggiato il clan dei casalesi. Tutto si poteva prevedere. Tutto, anche queste morti annunciate, che per chi conosceva la situazione erano certezza già vent’anni prima.
Moriranno tutti. Carmine Schiavone lo sapeva, e lo disse la prima volta sedici anni fa, durante una audizione alla commissione parlamentare Ecomafie. Lo scorso giovedì la camera ha deciso, dopo un silenzio durato quasi un ventennio, di rendere pubblico il dossier contenente tutte le dichiarazioni del pentito che ha fatto crollare il clan dei casalesi.
Documenti in cui Schiavone racconta come il traffico illegale dei rifiuti venne ufficializzato nel 1990, facendo i nomi dei referenti del clan per lo smaltimento rifiuti, Cipriano Chianese e il suo socio Gaetano Cerci, entrambi a capo della Resit e oggi sotto processo, il secondo misteriosamente legato a Licio Gelli; come quest’affare portasse nella casse del clan 600 mln di lire al mese, e come la politica desse il suo tacito placet. “In tutti i 106 comuni della provincia di Caserta noi facevamo i sindaci, di qualunque colore fossero. Socialisti, democristiani, ma anche comunisti se serviva”.
E poi la ricostruzione della mappa di interramenti, lungo tutto il litorale domitio, nel lago Lucrino, nell’area flegrea. A Villaricca e Casal di Principe, non importa se in terreni isolati o a ridosso delle abitazioni: anche lì furono interrati fusti tossici e, in qualche caso, anche scorie nucleari provenienti dall’estero: “Sono al corrente che arrivavano dalla Germania camion che trasportavano fanghi nucleari che sono stati scaricati nelle discariche. Alcuni dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale oggi vi sono i bufali e su cui non cresce più erba” racconta Schiavone. Tutto avveniva con una precisione “militare”: “Ragazzi incensurati, muniti di regolare porto d’armi, che giravano in macchina. Avevamo divise e palette dei carabinieri, della finanza e della polizia. Ognuno aveva un suo reparto prestabilito“.
Il disastro ambientale fu talmente vasto che già allora per Schiavone non c’erano dubbi: “per bonificare la zona ci vorrebbero tutti i soldi dello Stato in un anno“. Così come non ce n’erano sulle conseguenze dell’avvelenamento. “Gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via, avranno, forse, venti anni di vita“.
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