Tetti di sole: il romanzo di don Gennaro Matino

Napoli e i suoi ragazzi stanno perdendo la capacità di sognare

0
962

Nessuna menzogna può vincere contro la verità“. Può sembrare la versione laica della più evangelica “La Verità vi farà liberi”. Nel suo ultimo romanzo, Tetti di sole, don Gennaro Matino racconta il presente partendo dal passato. La Napoli di oggi non dissimile da quella degli anni sessanta. Centrale la storia del quartiere Antignano, dei suoi abitanti e dei loro intrecci in rapporto ad un fenomeno, quello della speculazione edilizia, che inizia a svilupparsi e ad invadere la scena della città e dell’intero Paese.

Per don Gennaro, la sua ultima fatica letteraria vuole essere un pretesto per scaldare il cuore e infondere speranza, parlando anche di rassegnazione e di rivoluzione in modo lucido, con i piedi piantati a terra e al contempo sulle nuvole.

Il libro è edito dalla neonata casa editrice no profit Spazio Cultura Italia, fondata dal cantautore e avvocato Mimì De Maio. La proficua e sinergica collaborazione tra il teologo partenopeo, già editorialista de “La Repubblica”, e Spazio Cultura Italia si pone l’ambizioso obiettivo di investire nelle giovani eccellenze del nostro territorio, in particolar modo nella cultura e nell’innovazione.

Don Gennaro perché ha deciso di titolare così Tetti di sole?

Per comprendere Napoli non bisogna lasciarsi abbagliare dal sole. Bisogna avere coraggio. Non è una città che può vedersi solo dai tetti o dalle navi quando arrivano al porto. E’ una città che va vista da dentro, nelle sue viscere, direbbe qualcuno nel suo ventre. Tetti di sole sono quelli che mettono in chiaro – da diversa posizione- ciò che si fa e di chi sta in basso. Fare luce, fare chiarezza”.

In che modo è strutturato il libro?

Il libro è diviso in una alternanza di capitoli: un mese è la comprensione dei fatti, ovvero chi sta sul tetto, e i fatti che stano nel ventre. Maggio ’62 rappresenta il ventre, mentre Giugno ’62 i tetti. La fatica da parte mia nel creare un espediente letterario. Dai tetti le cose si comprendono meglio. Si devono fare i conti con le ombre che stanno in basso. La chiusura di questo libro è diversa rispetto a quelli precedenti”.

“Speranza solo passaporto che posso permettermi”. Può esplicitare meglio il senso della sua frase?

“Sono un uomo di speranza. La città è a rischio. Ma non sono un illuso. Avevo scritto un libro autobiografico “Nostalgia del cielo”: avevo una tensione diversa nei confronti della mia città. Qui illudersi è molto facile e deprimersi è ancora peggio. Non vorrei che la parola speranza diventasse un alibi. Sono convinto che sui tetti di sole si ragiona bene. Nei ventri ti accorgi che è stata tolta la speranza. I migliori man mano se ne sono andati e se ne stanno andando. Nelle istituzioni i mediocri restano. Negli ultimi vent’anni la città è diventata degradata e degradante, insopportabile. La mia speranza nel libro resta ma si lega ad un’altra parola: Rivoluzione. Perché quando illusione e depressione sembrano più forti della speranza, per smuovere nel ventre le ombre c’è bisogno di rivoluzione”.

Che tipo di rivoluzione?

“Rivoluzione parola difficile, oggi abusata, non ha più la solita valenza novecentesca (non solo violenza delle armi). Alludo ad un altro tipo di rivoluzione, fatta di PAROLE, di COMUNICAZIONE. Occorre una rivoluzione che non c’è mai stata. Si sono susseguite scaramucce, contrastelli, nu poco d’ammuina. Servirebbe la violenza della verità, che in verità servirebbe in ogni caso. Chi sa dirsi la verità è libero e naviga senza affogare. Masaniello, il 1799 e le quattro giornate sono eventi con significato differente, costruzioni senza sinergia sociale. Parti che rimangono a sé stanti, privi di rivoluzione di significati. Una città che dal punto di vista dei bisogni s’allarga, straborda. Di connotati individualisti come sono i napoletani. E’ una città di soli insieme agli altri. Non c’è comunità e quindi il bisogno di rivoluzione, cioè fare finalmente quello che la Storia non è stata capace di fare: trasformare Napoli in una città. Per il momento è un’aggregazione di diversi, per comodità di Stato, per costrizioni di fato. Un idem sentire solo allo stadio”.

“Una città senza vergogna”?

“Una volta ci si vergognava. Napoli ha perso la sua femminilità. Una città madre, femmina per natura e storia. Né Stati, né organizzazioni, istituzioni sono riusciti a governarla. Chi ha per davvero governato Napoli sono state le madri. A Napoli comandano le femmine. Siamo legati alle mamme, abbiamo bisogno del ventre e del petto anche quando ci facciamo grandi. Sono venuti meno i segni di protezione”.

A chi dedica il libro?

“Alla mia città. Napoli è esagerata, tutto e niente, tutto insieme. Una poesia scritta per il Giubileo a Napoli, letta da Enzo De Caro, quando venne eletto De Magistris. Un racconto di speranza. Tutto sta per radici. Niente poiché campiamo di una rendita che non abbiamo e ricordi che non ci sono più. Una realtà compromessa e malata, attaccata. Un vittimismo assoluto, una mancanza di sapore. Una città che ha bisogno anche di critica positiva. L’invidia su Napoli porta i barbari in qualche modo a volerla denigrare. Una storia millenaria di grandezza e cultura”.

“Nessuna menzogna può vincere contro la verità”. Uno slogan politico o “semplicemente” la verità?

“Basta guardarsi intorno.Chi l’ha governata sa dire solo menzogne. Napoli ha fatto scuola anche in questo ed ha esportato un modello. Oggi c’è una mancanza di pudore in chi governa: mente spudoratamente. Una città svuotata di valori di aggregazione, istituzionali, di governo, di partecipazione popolare. Persistono qui lobby abitudinarie. Seduti negli stessi posti sempre le stesse persone. Una storia imbalsamata. Un’analisi che dovrebbe portare ad una rivoluzione. Siamo fermi. Sopruso come regola e vittimismo come atteggiamento costante”.

Perché ha scelto la data del 1962?

“Una pagina importante del mio diario. Frequentavo la prima elementare: mai accompagnato a scuola. Il primo giorno sì: eravamo già grandi. Un bambino adulto. Sono fatti che si rifanno a verità. Un momento di deportazione per la città. Le mani sulla città nascono in quel periodo là. Tre passaggi hanno tradito il futuro di Napoli: il dopoguerra (grande possibilità per tutta Italia: qui invece occupazione americana e abbiamo vissuto di parassitaggio); il piano regolatore del Comune (qui si sventrava); e poi il colera del 1973 e il terremoto del 1980. Ho visto sfratti, gente piangere, imbroglio, dolore, condizione dolorosa. Senza reazione. Rispetto al sopruso nessuna classe politica, sindacale, borghese si è ribellata. Ad Antignano dov’era il partito in difesa dei lavoratori? Dice che c’è stato un tempo di Rinascimento: io non l’ho visto né me ne sono accorto. Un po’ di pulizia in più come “o fumm e na cannela”.

E per i giovani quale futuro e quali prospettive?

“Napoli e i suoi ragazzi stanno perdendo la capacità di sognare. Molti, troppi, se ne stanno andando via con disprezzo, senza guardarsi indietro. Spesso i migliori. Se i ragazzi smettono di sognare, perde l’intera comunità prima ancora di giocare la partita. Dall’esperienza occorre trarre l’esempio. Può essere salvifico recidere i legami con la terra. Noi vi dobbiamo creare le condizioni perché voi restiate. Guardatevi in giro. La città è nelle mani dei peggiori”.