Tra cultura e povertà: l’attualità di Don Milani

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Tra cultura e povertà: l’attualità di Don Milani

Il rapporto Illuminiamo il mondo 2030 di Save the children di qualche giorno fa, dice che 1 quindicenne italiano su 4 ha gravi carenze matematiche e linguistiche di base, ed  evidenzia il nesso tra povertà materiale e povertà educativa, e tra carenza culturale familiare e difficoltà dei figli.

Don Lorenzo Milani lo aveva intuito già 60 anni fa, quando entrando in contatto con una povertà e un’ignoranza rilevanti, rifiutando di pensare che «Dio facesse nascere i somari soltanto nelle case dei poveri», percepì l’assenza di cultura come ostacolo all’evangelizzazione e al riscatto sociale.

Don Milani allora denuncia l’arroganza padronale del tempo, e si schiera a favore di diritti come la scuola per tutti e il lavoro,appellandosi alla Costituzione per colmare il divario delle diseguaglianze. E nella sua scuola popolare di Barbiana promuove, tra i poveri allievi contadini,conoscenza e capacità critica, convinto che solo la cultura e l’uso della parola possano aiutarli a superare la loro rassegnazione e a conquistare la vera libertà.

Uomo e sacerdote inquieto, è maestro e protagonista di battaglie civili, educatore dalla pedagogia all’avanguardia e rivoluzionaria, promotore sociale degli ultimi.

Ma perché parlare oggi di un uomo vissuto nei lontani anni ‘50/’60 in un piccolo e sperduto mondo di montagna di un’Italia marginale e povera, peraltro ormai scomparsa?

Don Milani diceva provocatoriamente: “Mi capiranno tra 50 anni”. Davvero ci sono voluti 50 anni perché Papa Francesco venisse nel 2017 a Barbiana e dicesse sulla sua tomba, indicandolo – anche personalmente – come modello: “Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia. Questa sua azione vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso».

Viene da pensare alle tante Barbiana di oggi, smisurate periferie umane delle nostre città, ormai trasversali alle differenti aree urbane, abbandonate e insieme bombardate dai molteplici messaggi del pensiero unico consumista, indifferente e disumano. Qui, dove permangono discriminazioni del sistema scolastico, urge la domanda sul fare scuola e cultura ai tanti che rischiano di restarne ai margini, e su come colmare il vuoto di futuro delle giovani generazioni.

Magari partendo, come faceva Don Milani, dal capire la sua gente, dal riconoscere e comprendere le sue nuove miserie e deprivazioni, per poter poi parlare loro.

In tal senso il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, a Barbiana in occasione del centenario della nascita di don Milani, ha detto: “Per cambiare le cose non serve innamorarsi è delle proprie idee, ma bisogna mettersi nelle scarpe dei ragazzi di allora e di oggi… perché siano strappati da un destino già segnato“».

In un’Italia dove ancora si scoraggiano i più deboli (spingendo avanti i più forti), dove 57 persone su 100 non aprono neppure un libro all’anno, dove diseguaglianze e abbandono scolastico sono in aumento, e dove chi non ha parole resta ancora in una posizione di debolezza civile,la viva esperienza umana, religiosa ed educativa di Don Milani appare profetica.

I suoiconcetti dell’ “ingiustizia di far parti eguali tra diseguali” , e dell’ “I care” (mi riguarda, mi sta a cuore, mi prendo cura)nel nostro tempo povero di modelli e di visioni,svelano una possibile quadra dell’irrisolto rapporto tra cultura e povertà: in realtà ogni uomo o donna possono fare tanto, amando e spendendosi per gli altri con passione. Al punto che scrive nel suo testamento ai suoi tanto amati ragazzi: ”Ho voluto più bene a voi che a Dio”.