Ciò che l’arresto dei sette terroristi avvenuto in Francia questa mattina riaccende oggi è “la speranza che la verità venga a galla per l’omicidio di mio padre”, anche se “credo che ci siano precise volontà di non far conoscere quello che realmente accadde, chi e perché decise di far uccidere mio padre”. Così a LaPresse Graziella Ammaturo, figlia del capo della squadra mobile di Napoli, Antonio Ammaturo, ucciso dalle Brigate rosse il 15 luglio del 1982, insieme con l’agente Pasquale Paola, sotto casa sua, in piazza Nicola Amore. “Ma fino a quando non conosceremo i fatti – aggiunge – non possiamo parlare di ‘Paese civile’, non fino a quando non riusciamo a guardare in faccia la verità”.
Un discorso che, come precisa Ammaturo, “non vale solo per noi in quanto familiari, ma per l’Italia intera. Possibile che ancora oggi, a distanza di 40 anni, non si conoscano bene le connivenze tra camorra e terrorismo?”. “Come sarebbe stata Italia persone vive che c’erano connivenze di quel tipo? Un Paese diverso, quali verità ci sono state negate”.
“Per mio padre, che direttamente non si è mai interessato di terrorismo a Napoli, sarebbe stato semplice voltarsi dall’altra parte – racconta – ma ha deciso di continuare. Quando parlava del suo lavoro, delle indagini che stava conducendo, usava la parola ‘eclissi’. Dopo il suo omicidio, ad essersi eclissate sono le carte delle sue indagini. Aveva l’abitudine di prendere appunti, eppure dopo la sua morte, tutto ciò che abbiamo avuto è stata una agenda vuota, bianca”.
“Avevo 16 anni quando hanno ucciso mio padre, la più piccola di tre figlie, mia madre che ora non c’è più è stata una roccia, siamo cresciute nell’esempio di un uomo coraggioso – conclude –. Conoscere la verità su quanto accaduto è rendere un omaggio anche a lei”.
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